Discarica Bussi, gettiamoci lo Stato
Non bisogna essere dei cronisti come noi per ricordare la storia della superdiscarica di Bussi, la più grande d’Europa, forse la più tossica d’Italia (con le Terre dei fuochi), e ancora la più intatta d’Italia. A due passi da autostrade, ferrovia, campi coltivati, case, scuole, un ospedale, un fiume, falde acquifere, per anni e anni sotto gli occhi distratti di tutti (non serve un elenco di autorità : basta dire tutte le autorità locali, provinciali e regionali, più la forestale, i carabinieri, gli ambientalisti) potenti intoccabili hanno scaricato e interrato tonnellate di veleni micidiali. Tutto all’insaputa di tutti. Sette anni fa si scopre la discarica, si levano grida di sdegno, ci si strappano i capelli, si inveisce, si fa ricorso al capiente bagaglio dell’ovvietà e della retorica. Sventura, sventura, quante vite a rischio di morte, quanta gente che ha bevuto acqua venefica.
Dopo sette anni, non è accaduto nulla. Solo la magistratura ha fatto il suo lavoro incriminando e aprendo un processo, che non si riesce a far camminare. Lo Stato, spesso, la giustizia la ostacola.
Si deve anche dire che occorrono 6 o 700 milioni per ripulire e che non si sa: 1) chi pagherà ; 2) chi deve farlo; 3) quando si comincerà , almeno. Il colmo dell’ironia è che un principe dell’ambientalismo, l’on. Realacci, suda e produce – orribile fatica – un’interrogazione. Si domanda, domanda in giro, vuol sapere, fa la voce severa. All’interrogazione chi sa quando sarà data risposta. E sepoltura, visto cosa si fa di solito delle interrogazioni.
Un suggerimento ce lo avremmo, per Realacci e tutti gli altri, se vogliono seguirlo: diano una mano a gettare lo Stato nella discarica di Bussi. Sarà la sola cosa collocata al posto giusto, nella regione verde dei parchi, nel santuario della natura e dell’ecologia chiamato Abruzzo.
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