Io la penso così – Università e chiarimenti
(di Stefano Leone) – Leggendo, in questi giorni, la stampa locale pugliese, salta all’occhio l’eco che viene data al caso degli esami venduti alla D’Annunzio. D’altronde, essendo coinvolto il Sindaco di Manfredonia e un imprenditore foggiano, non c’è da meravigliarsi. Ciò che fa meraviglia è che, nel racconto dei fatti, (secondo gli inquirenti, il sindaco di Manfredonia si sarebbe mosso, inoltre, con la macchina del Comune, usando quindi la vettura per un motivo estraneo alle finalità istituzionali dunque anche peculato), l’informazione locale chiude articoli e servizi affermando che l’Università D’Annunzio è estranea ai fatti. Se lo è o non lo è lo accerterà chi ne ha titolo. Ciò che fa sgranare gli occhi, invece, è che i vertici dell’Ateneo abbiano concesso al soggetto, un docente di provata esperienza, (non solo in insegnamento da quello che appare dalle indagini), di perpetrare un atteggiamento ripetuto nel tempo. Perchè? Perchè il professore era già caduto nel problema circa un anno fa, tanto che la procura di Pescara lo aveva, per questo, inscritto nel registro degli indagati. Viene spontaneo chiedersi perché, i vertici dell’Università , non abbiano assunto provvedimenti che avessero messo il docente nella condizione di non nuocere più. Evidentemente avvezzo ad una simile pratica di vendita al dettaglio di esami universitari che, date le evidenze, sono paragonati al commercio del tartufo bianco di Alba. Sarà per caso che la D’Annunzio debba delle spiegazioni? Come fa l’Ateneo pescarese a metterci la faccia con quei genitori che, a costo di sacrifici inenarrabili, mantengono i loro figli agli studi fuori da casa? Ma non solo. Bisognerà pur dire qualcosa agli stessi studenti, quelli che studiano giorno e notte per superare un esame. Certo, i vertici della D’Annunzio se ne potranno uscire dicendo che una mela marcia non può rovinare tutta la cassetta. Ma allora perché la mela marcia non è stata separata? Già qualche stupido e demenziale scaricabarile è venuto fuori. Qualche Preside di Facoltà dichiara che il docente interesato non faceva più parte della sua Facoltà ma di altra. Ancora una volta la riprova che spesso è meglio tacere. D’altronde, diciamocela tutta, è quantomai poco credibile che all’interno dell’Ateneo nessuno sapesse. Evidentemente non servono parole quando il silenzio, probabilmente, dice tutto. E il silenzio, che dai vertici dell’Università continua a reiterare sovrano, la dice proprio tutta. Viva l’Italia della trasparenza.
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