Cinque sono passati, altri cinque basteranno?


L’Aquila – (di G.Col.) – (Foto: la chiesa di S.Maria Paganica e sotto dialoghi sull’amore per la città) - Il neoministro Franceschini ieri ha sostanzialmente detto agli aquilani e agli altri abitanti del cratere: avete aspettato cinque anni, altri cinque ne dovete aspettare. Per rivedere la vostra città, i vostri quieti centri storici nei paesi e nei borghi (alcuni impalmati con l’etichetta dei “più belli”), dovranno essere sfilati idealmente dal calendario altri 1800-2000 giorni. Naturalmente, è arduo credere nelle promesse della politica, e i ritardi bisogna metterli in conto. Inoltre, Franceschini, che è ministro della cultura, si riferiva alle parti storiche degli abitati, cioè a quelle più delicate e bisognose di recupero e protezione.
Una spesa enorme, smisurata; progettazioni difficili, ostacoli a non finire, tsunami di permessi e autorizzazioni, e come sempre prevedibili polemiche, dibattiti e “tavoli”. Con questa parola che evoca un oggetto attorno al quale ci si siede per mangiare, per dialogare, per scambiarsi idee e attingere reciprocamente alle intelligenze (talvolta ce ne sono). Nel significato che ha assunto oggi, appare come qualcosa di deleterio e gravoso: i tavoli delle trattative sono micidiali…
Cinque e cinque fanno dieci, esattamente quanti a suo tempo ne indicò Bertolaso, aggiungendo: “Dieci anni per la ricostruzione? Ci metterei la firma…”. Anche a lui sembravano un obiettivo non alla portata, non realistico. Lo sono oggi? Ai problemi, dobbiamo aggiungerne uno pesantissimo, coinvolgente, pesante come uranio: la crisi e l’esiguità delle risorse dello Stato. Potrà davvero Renzi abbassare le tasse, pagare i debiti della pubblica amministrazione, riformare il lavoro?
Per ora, il governo aumenta i carburanti e impone nuove tasse.
Al ministro Franceschini, che ha spesso dimostrato attenzione e vicinanza per L’Aquila, anche da semplice capo del PD anni fa, vorremmo ricordare soltanto che esiste, di fatto, una nuova entità territoriale, da aggiungere a province, comuni, regioni, comunità montane. Esiste solo qui da noi. Si chiama cratere sismico: un territorio omogeneo esteso in tre province abruzzese, con 56 comuni tra i quali L’Aquila. Da cinque anni è a tutti gli effetti un’entità con suoi uffici, sue competenze, sue autorità. Aveva anche una sorta di governatorato, il commissario. Un langravio dei nostri tempi, un comes magnus.
Bisognerebbe inserirlo, questo cratere, sulla carta geografica. Tanto più che, bene che vada, esisterà per almeno altri cinque anni.
Per far rinascere davvero ciò che è diruto debbono essere garantite poche e sempici cose. Soldi erogati regolarmente. Burocrazia ridotta all’osso. Controlli e verifiche severi e profondi. Meccanismi oliati capaci di funzionare senza dover combattere per avere ogni euro. Un figura politica forte di riferimento, un “curator” della ricostruzione, una figura competente e vicina alla città. Sono cose che da cinque anni alcuni gridano. Ma sono grida che cadono nel vuoto, rimbombano nei corridoi romani spesso ostili, oltre che improduttivi. Benvenuto Franceschini, la sua presenza è un segno. Ma ci vuole altro, molto di più. E infine chiediamoci: ricostruire certi monumenti – con costi paurosi – è davvero conveniente e significativo? Cosa vorrà dire, fra decenni, una chiesa totalmente riedificata e rimessa in piedi tra catene, armature, cemento, ma sostanzialmente fasulla? Si abbia il coraggio di porsi anche domande del genere. Il concetto di “tutto dov’era e com’era” potrebbe aver bisogno di una revisione. Coraggiosa.


02 Marzo 2014

Categoria : Cronaca
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