Il maestro Manzi raccontato in una fiction
(di Flavio Colacito – psicopedagogista) – STORIA DEL MAESTRO CHE SCONFISSE L’ANALFABETISMO – Un maestro con le caratteristiche che tutti avrebbero voluto avere, un personaggio diverso e impegnato, persino un rivoluzionario per qualche tempo in Sud America, fedele alla sua “mission” pedagogica e civile. Di chi si sta parlando? Naturalmente di Alberto Manzi, ritenuto da più generazioni come il maestro d’Italia, al punto da intitolargli meritatamente alcune scuole sparse lungo lo stivale. Anche la Rai ha voluto dedicargli una fiction, incentrata sulla sua figura, per raccontare la storia di quest’uomo alle nuove generazioni. Il titolo proposto dalla Rai, già di per sé eloquente, “Non è mai troppo tardi”, ci conduce nell’universo di Alberto Manzi in due serate, oggi e domani alle 21,10 sulla prima rete. Il produttore dell’opera, Angelo Barbagallo, descrive così l’immagine del maestro portato sul piccolo schermo assieme a Bibi Film e Rai Fiction: “Uno spirito libero, generoso, che si rifiutava di mettere i voti sulla pagella e, al loro posto, metteva un timbro ‘Fa quel che può, quello che non può non fa”, rimanendo fedele al titolo della famosa trasmissione condotta da Manzi tra il 1959 e il 1968 in televisione. Il regista, Giacomo Campiotti, ha voluto ripercorrere il travagliato percorso professionale di Manzi, partendo dalle prime esperienze professionali del maestro in un carcere minorile, per approdare ad un ambizioso progetto educativo ed innovativo in tv, dal titolo “ Non è mai troppo tardi”, un’iniziativa pedagogica indirizzata alla lotta all’analfabetismo in Italia, insegnando a leggere e scrivere a più di un milione di persone eredi del disastroso secondo dopoguerra, tra ignoranza e povertà. Il volto del personaggio è stato affidato al bravissimo Claudio Santamaria: “E’ un personaggio che mi ha commosso appena ho letto la sceneggiatura. Per tutta la vita ha cercato di risvegliare le persone, aprire loro la mente, e lottato per ridare dignità a chi non aveva possibilità di studiare”. Santamaria ha dovuto rileggere tutto l’operato di Manzi, scoprilo, per dare vita ai bisogni che lo animavano: “Nei rari momenti in cui si autocelebrava, diceva: ‘Il mio modo di insegnare è avanti di 50 anni alla scuola’. Visto come sta la scuola oggi, direi che stava avanti almeno 100 anni. Lui aveva capito che la guerra nasceva dall’ignoranza e, attraverso la scuola, ha cercato di creare una società migliore. Nelle sue classi c’era posto anche per chi suggeriva perché lui voleva una società in cui ci si aiutasse a vicenda”. Giacomo Campiotti, nel realizzare questo lavoro, ha tenuto a sottolineare: “Alberto Manzi è un maestro che ai bambini non insegna nozioni ma a pensare. Lavora con loro per formare uomini liberi, capaci di scelte libere, e per farlo lotta con tenacia contro ogni ostacolo”. Queste considerazioni ci propongono temi a partire dai quali sviluppare l’attenzione sull’importanza della formazione come conquista della vera libertà, ritornando sulla centralità del modello di maestro quale base su cui costruire la conoscenza, liberandosi gradualmente dalla paura generata dall’ignoranza, in un contesto storico – quello successivo alla seconda guerra mondiale – dominato ancora dal concetto del “sapere” come appannaggio di pochi, ma anche di una buona televisione sensibile al valore dei contenuti non solo dal punto di vista dell’intrattenimento, elementi destinati ad essere soppiantati a partire dagli anni ’60 da una nuova visione in linea con il boom economico che avrebbe cambiato l’Italia, di cui attualmente si riavverte la necessità: mai la scuola fu così moderna.
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