“12 anni schiavo”, film indimenticabile


(di Flavio Colacito – psicopedagogista). L’incredibile storia di un uomo e della sua battaglia per la sopravvivenza e la libertà approda sul grande schermo per raccontarci una vicenda appassionante e coinvolgente. Il titolo è “12 anni schiavo” di Steve McQueen e trae origine dalla degna autobiografia che intorno al 1850 rivelò al pubblico i risvolti delle atrocità legate alla schiavitù, raccontando il rapimento di Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), un padre di famiglia afro-americano nato libero nello stato di New York, costretto a compiere un viaggio terribile fino per raggiungere le piantagioni della Louisiana per ricongiungersi ai suoi cari privati di ogni libertà. I travagli personali di Northup, si alternano al dramma della perdita dei diritti umani assieme momenti toccanti che catapultano il pubblico nel vissuto del protagonista , un buon musicista e artigiano di Saratoga Springs, marito e padre di famiglia, per aprire le porte ad un incubo senza fine, quando Northup , drogato e derubato dei documenti, si ritrova incatenato e venduto a uno spietato mercante di schiavi di nome Freeman (Paul Giamatti), finendo imbarcato su una nave diretta in Louisiana, ritrovandosi poi in balia di un gruppo di proprietari terrieri senza scrupoli , tra cui William Ford (Benedict Cumberbatch) ed Edwin Epps (Michael Fassbender). Il protagonista troverà conforto nell’ amicizia con Eliza (Adepero Oduye) e con Patsey (Lupita Nyong’o), tuttavia Solomon è preda dei suoi aguzzini, i quali lo spingeranno al limite della sopportazione fisica e psicologica, senza soccombere alla disperazione e alla sopraffazione, sognando di tornare libero come alle origini. L’incontro con Samuel Bass (Brad Pitt), un carpentiere sensibile alla sua storia, Solomon riuscirà a ritrovare la strada di casa, ritrovando finalmente la libertà nella quale aveva sempre sperato. Il regista già autore “Hunger” e “Shame”, noto al pubblico per la raffinatezza e la grazia formale delle sue inquadrature anche nelle scene più drammatiche, confeziona un film pedagogico senza retorica, ricco di stile visuale, dove lo spessore del protagonista Solomon Northup e le sue vicende non sono legati al racconto di una storia di schiavitù come tante, ma della perdita della libertà di un uomo colto e raffinato che cerca di riconquistarla. Nel 1853 fu pubblicato il libro, “12 years a slave”, nel quale Solomon Northup introduceva il lettore lungo l’arco dei dodici anni trascorsi in schiavitù nelle piantagioni della Louisiana, diventando immediatamente un best-seller, confermandosi un libro che oltre a illustrare con dovizia l’esistenza quotidiana degli schiavi e a chiarire che cosa significasse essere un “oggetto” di qualcuno, dava anche una visione non facile delle implicazioni morali, emotive e spirituale sulla schiavitù, finendo per risultare un inno alla tenacia umana. L’opera fu composta un anno dopo la liberazione di Northup, esattamente nove anni prima della guerra civile, diventando un documento di base lungo tutto il dibattito sul futuro della schiavitù, contraddicendo il contesto idilliaco proposto dagli schiavisti, per cui nel tempo parecchi furono colpiti e commossi riflettendo sul coraggio del protagonista, non limitandosi a raccontare quello che gli era capitato, bensì soffermandosi a descrivere con minuzia di particolari l’intero contesto. Steve McQueen si era riproposto di portare sullo schermo la storia di Northup al pubblico odierno, rendendo omaggio a un eroe del quale pochi sanno qualcosa, un uomo che, pur impegnato in un viaggio all’epoca impensabile, non finì mai per diventare una figura tragica, riportando visivamente questa caratteristica al cinema con bravura notevole, tanto che la sofferenza di Northup finisce per rendere saldo il suo senso di identità, senza che nessuno riesca a scalfirlo, anche nella tragedia. La pellicola, dai colori intensi e ricca di sequenze suggestive, una tra tante quella di Solomon lasciato appeso a un cappio con i piedi a un pelo dal terreno, non passano senza coinvolgimento, nella descrizione della lotta per non rimanere soffocato, attorno i bambini che giocano al sole, continuando con la scena di quando lo obbligano a frustare Patsey, la brava schiava bracciante della piantagione di Epps, che lui, in fondo, ama segretamente. Il tutto è un vortice di emozioni, con un unico piano sequenza che rende la scena una magnifica metafora della piantagione, nella quale amore e ossessione, odio e tenerezza assumono mille sfaccettature unendosi tra loro, concludendo sul destino dello stesso protagonista , anche se la sorte lo risparmierà, non potrà mai più rimanere la stessa persona. Epps, losco figuro a metà tra un uomo e una bestia, ubriacone preda di furiose esplosioni di rabbia, è fedelissimo al vero Epps, noto per il suo atteggiamento violento e riprovevole, tanto in Louisiana ancora oggi lo ricordano alludendo ad un uomo da disprezzare quando qualcuno diventa molesto. Epps, non è solo malvagio, è un essere deplorevole che esercita la sua ferocia sulle cose di sua proprietà, come sono Solomon e gli altri schiavi della piantagione. William Ford (Benedict Cumberbatch), il primo padrone di Solomon , è al contrario caratterizzato da un temperamento più docile, ammirandolo per le sue doti intellettive e conferendogli una certa dignità. La storia lo descrive un brav’uomo,religioso, empatico con i suoi schiavi, nonostante Ford abbia comprato la schiava Eliza allontanandola dai figli senza remore. Il commento musicale di Hans Zimmer accompagna le scene suggestive del film, le immagine crude, la sofferenza, la vittoria di Solomon, aggiungendo un tocco di delicatezza in grado di guidare lo spettatore in un’avventura umana che alla fine lascia il segno.


22 Febbraio 2014

Categoria : Cultura
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