“In Abruzzo criminali con dna ‘ndrangheta”


L’Aquila – “In Abruzzo non esistono le cosiddette ‘locali’ o ‘ndrine ancora ancorate agli organi centrali, ma associazioni criminali autonome che hanno lo stesso dna della ‘ndrangheta, come in un rapporto tra genitori e figli, con il ricordo del vecchio rito delle affiliazioni che continuano a praticare sia pure fuori dell’ortodossia ‘ndraghetista”. Lo scrive nella sua relazione annuale (giugno 2012-luglio 2013, ripresa dall’AGI) sulla criminalita’ in Abruzzo il sostituto procuratore nazionale antimafia, Olga Capasso. Tuttavia il magistrato osserva che “L’Abruzzo, con tutta la sua microcriminalita’, la corruzione, i reati contro il patrimonio e la malavita stanziale costituita da gruppi di famiglie rom, non e’ territorio in cui la criminalita’ di stampo mafioso si sia radicata.
Questa regione – si legge nella relazione – ancora non presenta le problematiche dell’Italia settentrionale – Liguria, Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna – dove la ‘ndrangheta e la camorra hanno ormai messo le loro basi famigliari ed affaristiche. L’Abruzzo e’ territorio dove il commercio di droga, che arriva principalmente dal Sud America e dalla vicina Campania, trova un suo naturale sbocco, come nel resto del paese, ma le centrali mafiose dell’illecito traffico sono altrove. E’ pur vero che negli ultimi due anni sono state scoperte due cellule criminali – sempre dedite al traffico di stupefacenti – che facevano riferimento a un capo clan della ‘ndrangheta e ad uno scissionista del clan camorristico Vollaro, Lorenzo Cozzolino, ma si e’ trattato in entrambi i casi di presenze in Abruzzo dovute a fattori esterni. Il capo ‘ndrangheta, Eugenio Ferrazzo aveva il padre Felice – allora collaboratore di giustizia – soggiornante in Abruzzo, e li’ anche lui si era riparato per sfuggire ai suoi nemici in quanto capo di un clan perdente di Mesoraca.
Il camorrista, dal canto suo, aveva soggiornato per anni nelle carceri abruzzesi ed in seguito a tale vicenda aveva finito per rimanere in zona e da li’ riprendere i suoi traffici di droga. In ogni caso – spiega la relatrice – avvalendosi di manovalanza locale, o di cittadini dominicani per l’importazione della droga dal Sud America, quindi estranei al concetto di famiglia mafiosa che vede tra i suoi membri solo persone provenienti dalla stessa regione, Campania o Calabria, e spesso legate da vincoli di sangue. Gli affari gestiti dal Ferrazzo con il provento dello spaccio di droga si sono rivolti a diversi settori, tanto che nei confronti di terze persone si e’ formato autonomo fascicolo per il reato di riciclaggio”.
“Comunque – rileva il magistrato inquirente – l’evoluzione della struttura criminale e’ avvertita dagli investigatori piu’ preparati ed e’ caratterizzata da mutamenti interni prodotti dall’impianto in nuove realta’ geografiche ed economiche lontane da quelle calabresi. Questa ‘mutazione genetica’ si denota, oltre che per la mancata partecipazione agli utili della ‘casa madre’, anche per la compartecipazione di soggetti di diversa estrazione criminale. Peraltro, a favore della tesi dell’unitarieta’ della ‘ndrangheta, e’ comunque da rilevare che un collaboratore della zona di Catanzaro, riferendo le parole di altro ex collaboratore presente come lui in Abruzzo e in affari con Ferrazzo, afferma che ‘la zona in cui noi ci trovavamo protetti era un vero e proprio ‘mandamento’ della ‘ndrangheta’. In ogni caso – sottolinea Capasso – si tratta, come si e’ detto, di eventi sporadici e prodotti da circostanze particolari. L’unica vera intrusione della ‘ndrangheta e della camorra si e’ avuta in seguito al terremoto. Cosa ovvia, perche’ la criminalita’ organizzata si porta dove girano i soldi, e gli appalti per la ricostruzione hanno costituito, almeno per i primi anni dopo il sisma, un’occasione da non perdere. La criminalita’ organizzata si sposta dunque in questa regione per partecipare a qualche affare lucroso, come appunto gli appalti per la ricostruzione, ma poi torna da dove era venuta. Tranne i casi segnalati, e puramente occasionali, non si puo’ parlare di una colonizzazione della mafia in Abruzzo. Tuttavia la capacita’ di infiltrazione dei clan campani nella regione, sia pure solo per immobilizzare e reinvestire il loro denaro in una zona generalmente lontana dalle grandi inchieste, non va sottaciuta. A questo proposito particolare menzione merita l’operazione “Fulcro” culminata con ordinanze di custodia cautelare eseguite il 18 dicembre 2012 dalla Dia di Napoli, nell’ambito della quale sono stati colpiti gli interessi del clan Fabbrocino mediante l’esecuzione di un decreto di sequestro di urgenza avente ad oggetto supermercati alimentari presenti in Abruzzo, in particolare nella zona di Tagliacozzo. Quanto a Cosa Nostra, le ben note attivita’ di Massimo Ciancimino nella zona, che hanno dato luogo a processi e a misure di prevenzione patrimoniale, presentano le stesse caratteristiche. Ciancimino – spiega il magistrato – aveva bisogno di occultare i beni accumulati dal padre per sottrarli alla confisca, e si e’ mosso dove aveva possibilita’ di farlo. I patrimoni delle societa’ del gas e della Sirco spa sono stati reimpiegati in Abruzzo perche’ li’ aveva conoscenze che lo avrebbero aiutato a riciclare quel denaro sporco, e cosi’ ha fatto costituendo in terra d’Abruzzo la Alba d’Oro srl ed altre societa’ a lui in buona parte riconducibili. Ma Ciancimino non si e’ mai stabilizzato in Abruzzo, e Cosa Nostra, tramite lui e pochi altri, non ha mai messo radici in questa terra. Ancora in corso presso la Dda di L’Aquila un nuovo procedimento che riguarda altre societa’ del Ciancimino create in Abruzzo e fittiziamente intestate ad altre persone compiacenti, in pratica le stesse che fungevano da prestanome nella Alba d’Oro srl”.


19 Febbraio 2014

Categoria : Cronaca
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