Ciò che non abbiamo più, piccole nostalgie


accademia immagine nov 09L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – La nuova realtà, sette mesi e passa dopo la fine dell’altra vita, sta nel cuore degli aquilani, molti dei quali ancora forzatamente profughi altrove. Quasi tutti in un Abruzzo che è prossimo, accogliente, talvolta affettuoso, ma non è più “casa”. Le nuove nostalgie si annidano nei cuori e nelle menti, sorprendendo chi le prova e non immaginava di poterle provare. Hai nostalgia della “tua” casa che non c’è oppure c’è, ma stravolta, vuota. Hai invidia persino guardando un film in cui qualcuno esce ed entra da casa “sua”, perché ce l’ha. E chi è profugo non ce l’ha. Può colpirti o commuoverti persino il rientro da un esodo, alla fine di un ponte festivo: migliaia di persone incolonnate nelle auto. Persone che stanno tornando “a casa”, perché ce l’hanno. E tu hai una camera di albergo in riva ad un mare autunnale assolutamente deserto. Affascinante, stralunato, sempiterno nel suo andirivieni sulla battigia. Ma come il resto del mondo, totalmente indifferente.
Incontrando delle persone, annoti le nostalgie più strane, che non avresti mai potuto immaginare. Un uomo di scuola ci dice: “Qualche volta da dove abito arrivo in auto fino a Teramo, così, tanto per passeggiare in un centro, vedere dei porticati, i negozi, la gente che fa lo struscio lungo il corso. Mi manca quello aquilano, io c’ero sempre”. Un altro ci confessa: “A me sai cosa manca? La Piazza. Piazza Duomo, non riesco a pensare che non c’è più com’era la sera, con la gente ferma a chiacchierare, le brutte luci a globo che si accendevano all’imbrunire… Mi manca”.
Fiera S.Massimo giu 06
Sono anche queste le nostalgie annidate nell’intimo delle persone, per curare le quali non c’è rimedio che tenga, perché tanti di noi il centro dell’Aquila non potranno riaverlo. Tanti si stanno mutamente arrendendo. Nella confusione delle polemiche e delle diatribe sulla ricostruzione, quella “pesante”, manca lo spazio vitale per promesse che nessuno può fare. Rievocare la città, non un anello di periferie policrome ma senza volto, non identificabili, in cui è stipata la gente. Files abitativi, cartelle e sottocartelle per inzeppare i frammenti della città, i cocci di questa seconda vita inzuppata di melanconia. La prima, quella anteriore al 6 aprile, è in un archivio che non ha bisogno di spazi: la memoria. Come sono preziose le fotografie dell’Aquila com’era. Sui volti delle persone o negli spazi assolati delle strade immobilizzate dall’obiettivo fotografico, nessuno aveva letto il presagio. Nessun mago, nessun sensitivo, nessun cialtrone da oroscopo. Era un tempo che stavamo perdendo, secondo dopo secondo, e nessuno lo sapeva. Gocce di realtà che scaturivano da un serbatoio quasi vuoto, sempre più vuoto, fino al termine dell’altra vita, in pochi secondi attorno alle 3 e 32.
(Nelle foto: Lungo il corso e i porticati, ma con elemetto e colonne imbracate – Sotto: La fiera di S.Massimo, 2006: difficilmente la rivedremo com’era in questa immagine)


15 Novembre 2009

Categoria : Cronaca
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