D’Alfonso: “Ecco perchè mi candido”


Pescara – (di Stefano Leone)
Ora che anche chi, dato in vantaggio dai sondaggi, ha detto no alla presentazione della candidatura alle primarie, Big Luciano vede davanti a se solo praterie prive di ostacoli, che lo portano dritto alla competizione con il candidato di opposta fazione. E allora lui, che oltre essere politico attento e di lunga formazione all’ombra di colossi della politica del passato, non disdegna la globalizzazione che tutto vuole si faccia anche con la tecnologia. E D’Alfonso affida così, alla sua pagina Facebook, un lungo documento nel quale spiega, alla gente d’Abruzzo, il perché di una candidatura. Testualmente scrive:
“Mi candido a Presidente della Regione Abruzzo non per soddisfare un capriccio, ma per rispondere a un invito che è esterno, eppure anche interno a me. Non mi nascondo dietro la retorica dei tanti che mi hanno chiesto di fare questa scelta, che pure ci sono; forse il loro invito da solo non sarebbe bastato. Mi candido perché sento di avere il dovere di farlo. Sono consapevole di aver dedicato tanti anni a studiare questa nostra regione, a girarla in lungo e in largo per scoprirne la forza e le debolezze, le risorse e i limiti, le opportunità e i problemi, incontrando decine di migliaia di professionisti, imprenditori, lavoratori, docenti, religiosi, studenti, disoccupati che mi hanno permesso di approfondire la mia conoscenza e di avere nuove idee da realizzare in progetti ed opere di benessere comune. In questi anni ho fatto anche l’esperienza del dolore. I tribunali hanno dimostrato la correttezza del mio operato, proclamando la mia innocenza e restituendomi la possibilità di mostrare a tutti quelli che mi avevano sostenuto che non avevano sbagliato a puntare su di me. Fin dall’inizio ho scelto di vivere in positivo e attivamente, come un’occasione da cogliere in pienezza, anche questa fase amara. Ho studiato, ho fatto esperienze, mi sono confrontato, ho deciso, ho conosciuto il dolore, ho girato più volte l’Abruzzo dello spazio e del tempo, ritrovando le grandezze del passato e del presente che viene meno. Non ho coltivato il risentimento, l’avversione l’ho destinata solo all’impegno per risolvere come meglio potevo i problemi dei singoli e delle collettività. Così anche questo tempo, pur così travagliato, è stato un’occasione di approfondimento e di ripensamento, e dunque di crescita umana. Ora mi sento pronto a riprendere un cammino per realizzare un Abruzzo che finalmente conosca una Regione all’altezza delle funzioni che la nostra Costituzione le assegna. In primo luogo a partire dalla prossimità, facendo in modo che l’istituzione abbia un rapporto col cittadino più simile a quello virtuoso dei comuni, che sono facilmente accessibili alle esigenze e al bisogno. Così faremo in modo che nessuno resti solo col suo dolore o con la sua esigenza, perché il potere che è al servizio diventa in grado di aprirsi e di accogliere. Il mio progetto è quello di rendere l’Abruzzo la regione più facile che ci sia, intendendo dire che qui deve diventare semplice per ognuno poter realizzare il suo progetto di vita o di impresa, trovando nell’istituzione non un ostacolo ma un punto di forza. Un Abruzzo veloce nella capacità di dare respiro all’iniziativa economica, ma lento nella coltivazione delle relazioni umane, facendo in modo che i ritmi siano davvero quelli che servono alla persona e all’intrapresa, e non quelli dettati dall’inerzia delle burocrazie. Un’agenda di priorità può aiutarci a raggiungere questo obiettivo. Credo che la prima emergenza sia favorire la vita delle imprese, sia perché abbiamo bisogno di tornare a produrre, sia perché solo in questo modo potremo dare risposte vere alla domanda di lavoro. A questa si aggancia l’altra priorità, ovvero la formazione dei giovani a favore della quale dobbiamo investire, sia per il potenziamento delle risorse a disposizione, sia per migliorare l’offerta formativa e collegarla nella maniera più intelligente, senza radicalismi, alle richieste del tessuto produttivo. Quindi la premura, che è molto di più della semplice cura, per la salute delle persone, sapendo differenziare tra le esigenze e facendo in modo che terapie e sostegni siano più efficaci e immediati dove ce n’è più bisogno. Per far questo non occorre chiamare manager da lontano, bisogna dare responsabilità e strumenti all’avanguardia ai nostri sanitari, in un indirizzo regionale sul diritto alla salute che non trascuri nessun abruzzese, organizzando anche una capacità di monitoraggio costante sulle condizioni e le esigenze di ognuno, anche dopo le fasi acute delle terapie ospedaliere. Questa deve essere poi una regione in cui la mobilità sia funzionale al bisogno di collegamento dei territori, per fare in modo che non ci sia bisogno di tutto ovunque, ma di valorizzare le eccellenze locali che siano facilmente raggiungibili in sicurezza e nel minor tempo possibile per ognuno, realizzando anche una efficace riforma del trasporto pubblico. Sul piano delle relazioni è necessario riprendere il progetto di dar vita alla “Marca Adriatica”, ovvero alla costituzione di un vincolo virtuoso tra le tre regioni costiere Marche, Abruzzo e Molise, che oltre a presentare una evidente omogeneità geografica, sociale ed imprenditoriale, rappresentano il cuore della costa adriatica, dando vita a una sorta di federazione delle tre regioni, che ovviamente rimarrebbero autonome, decidendo di fare insieme, per esempio, le infrastrutture, le fonti energetiche, la stessa pesca (così per esse tipica), ed altro ancora. Gli organi comuni andrebbero individuati con l’utilizzo di quelli già esistenti: l’assemblea interregionale potrebbe riunirsi una o due volte l’anno e sarebbe formata dalla seduta congiunta dei consigli già esistenti; gli organi esecutivi dall’insieme di quelli singoli di settore, guidati a turno ogni anno da una delle tre regioni, e così via. Una analoga cooperazione dovrebbe essere svolta con l’Umbria e il Lazio con l’obiettivo strategico di promuovere l’area interna, formando la federazione dell’ “Appennino Italico”. In questo modo l’Abruzzo si pone come regione snodo dell’integrazione tra le politiche di promozione della costa e quelle della montagna nell’Italia Centrale. Anche per attuare questi obiettivi occorre dare vita a una moderna riforma dello Statuto regionale con l’obiettivo di mutare, nel senso di una vera partecipazione delle comunità e dei cittadini ai processi legislativi e deliberativi, i rapporti tra l’Istituzione, gli enti territoriali, le associazioni, la cittadinanza. Penso al bisogno di regole che permettano ai cittadini, in caso di una decisione percepita come dannosa o ingiusta, di raccogliere un numero congruo di firme (ad esempio 10.000) in grado di bloccare il provvedimento e di imporne il riesame da parte degli organi competenti; o di prevedere che, qualora vengano raccolte 10.000 firme a favore di un’iniziativa, la Regione sia tenuta ad affrontare e a decidere nel merito; o ancora che, presentata un’istanza, vi sia un arco di tempo ben preciso entro il quale l’ufficio competente deve rispondere, prevedendo in caso di mancata replica una sanzione graduata sino alla decadenza del responsabile del procedimento. Infine, occorre iniziare a sottoporre a una valutazione rigorosa l’operato della Regione, in modo da poter essere certi di cosa sia stato fatto in un certo arco di tempo (ad esempio un anno) e in che modo e con quale efficacia. La scelta del metodo delle primarie per la selezione della classe dirigente candidabile è stata, probabilmente, la principale innovazione apportata dal Partito Democratico al sistema politico italiano, consentendo in molti casi di individuare personalità capaci nell’amministrazione delle istituzioni territoriali che forse altrimenti non avrebbero avuto modo neppure di essere prese in considerazione. Accanto a questa opportunità che riguarda la qualità delle persone eleggibili, occorre considerare il grande valore dato dalla partecipazione popolare, che di per sé rappresenta un patrimonio di forza e di credibilità che solo questo partito può vantare oggi sulla scena politica nazionale. Un coinvolgimento limitato, però, nel suo potenziale, visto che soprattutto a livello locale si è espresso prevalentemente attraverso il voto che, pur qualificando la vita di una democrazia, non la racchiude per intero. “Conoscere per deliberare”, il grande insegnamento di Luigi Einaudi, dovrebbe trovare una maggiore applicazione in questo momento così forte della partecipazione popolare, e a ben guardare nel modello americano delle primarie c’è una indicazione in tale senso: è quella offerta dai cosiddetti caucus, ovvero le assemblee nelle quali si incontrano gli elettori per ascoltare tutti i candidati esporre i loro programmi, e fare attraverso la valutazione delle proposte una scelta meditata sul candidato migliore. Prendendo spunto da questo modello, io mi propongo di vivere questa prima fase della lunga campagna elettorale che ci porterà al momento del voto, quando finalmente col voto dei cittadini daremo le gambe per camminare alla Regione Ovunque, organizzando incontri e assemblee con i cittadini in tutto l’Abruzzo, in modo da interloquire con le persone provenienti dalle professioni e dai mondi vitali che hanno qualcosa da dire, ascoltare le proposte e i problemi e farsi un’idea utile ad integrare i nostri programmi. Le primarie svolgeranno un buon servizio, inoltre, se consentiranno di far emergere persone e progettualità in grado di proporsi per la candidatura al Consiglio Regionale. In questo modo avremo la possibilità di porgere al giudizio dei cittadini voci nuove e competenti, e non solo le personalità di formazione tutta politicistica che in questo periodo appaiono scontare una maggiore difficoltà nel comunicare con una cittadinanza, cui il confronto della crisi impone l’esigenza di trovare nuovi e credibili interlocutori per la rappresentanza istituzionale. Seguire un percorso tanto impegnativo per lo svolgimento della campagna elettorale regala anche una più compiuta consapevolezza di quanto è realmente urgente per restituire forza e competitività ai nostri territori. Un tempo suonava melodica l’idea di un Abruzzo da unire, quasi come se l’obiettivo dovesse essere quello di colmare le differenze, col risultato che tale illuministico obiettivo, contrario alla realtà del modo di essere delle nostre comunità, non fu raggiunto e che non si seppe comunque valorizzare i punti di forza. Il vero obiettivo per rimettere in moto l’economia dell’Abruzzo, invece, va nella direzione contraria, in quella di distinguere le aree attraverso politiche mirate della valorizzazione delle peculiarità specifiche che sono in grado di fare forte di volta in volta quella comunità, quel sistema territoriale e non un altro. Per fare questo, ovviamente, occorre avere una visione puntuale della mutevole realtà dei numerosi vissuti specifici e risorse che compongono il nostro Abruzzo. Occorre una Regione dinamica, in grado di muoversi sul territorio, di essere davvero una Regione Ovunque. Un’idea di Regione diversa dall’ornamento da carta intestata cui è ridotta, una Regione che sia non solo utile, ma necessaria per favorire e accompagnare le istanze di vita e di benessere di persone e comunità. Per realizzare questa idea mi candido, ponendomi così da oggi al servizio di tutti gli Abruzzesi.


11 Febbraio 2014

Categoria : Politica
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