L’Italia e l’aborto: abuso del ricorso all’anestesia generale


(a cura di Flavio Colacito – psicopedagogista). Il mistero della Salute, di concerto con il Parlamento, ha messo sotto controllo diverse strutture pubbliche che praticano l’aborto, compresi i ginecologi coinvolti in tale attività. Infatti, leggendo la “Relazione annuale sull’attuazione della legge 194”, che regolamenta tutte le procedure connesse all’aborto,in Italia risulterebbero “troppe anestesie generali per le interruzioni volontarie di gravidanza in contrasto con le indicazioni formulate a livello internazionale”,cosa ancora più grave visto che le donne che ricorrono alle modalità farmacologiche per interrompere la loro gravidanza non rimarrebbero presso le strutture ospedaliere osservando i tre i giorni contemplati in una circolare ministeriale. Tali situazioni hanno attirato le osservazioni della deputata Pd Elena Carnevali, la quale si è mostrata pronta a porre la situazione riscontrata in commissione Affari Sociali della Camera, sottolineando che “effettuare l’82 per cento degli interventi per interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) in anestesia generale, è una scelta non giustificabile dal punto di vista della Salute delle pazienti”. Su questi delicati aspetti si sono posti degli interrogativi alcuni esponenti del mondo della sanità, a cominciare dalla professoressa Giovanna Scasellati, a capo del Reparto Ivg dell’ospedale San Camillo di Roma, la quale sottolinea che però “sono proprio le donne a richiedere l’anestesia. Comunque quella attualmente in uso dura pochi minuti”. Va precisato che, tra l’altro, su questi delicatissimi aspetti l’Organizzazione mondiale della Sanità si è espressa con precisione: “È da preferire l’anestesia locale”, si riporta in una nota, “per minori rischi per la salute della donna, minor richiesta di analisi, minor impegno di personale ed infrastrutture e di conseguenza minori costi”.Tuttavia non sarebbero solo queste le uniche perplessità poste all’attenzione della comunità medica nella Relazione annuale sull’attuazione della legge 194, perché desta preoccupazione il numero e il livello di somministrazione della “Ru 486”, la pillola abortiva che prevede un ricovero di tre giorni. Tuttavia – secondo i tecnici del ministero – nel 76% dei casi le donne che adottano questo metodologia chiederebbero di essere dimesse prima, non volendosi attenere al protocollo dei tre giorni previsto dal ministero, cosa che ha destato nuovamente l’attenzione da parte della deputata Carnevali: “Visto che la prescrizione non viene rispettata – ha affermato la Carnevali – e non ci sono conseguenze per questo, chiederemo una verifica al ministero della Salute, per capire se sia realmente necessaria”. Del resto il dottor Silvio Viale, responsabile del Servizio 194 dell’ospedale Sant’Anna di Torino e promotore dell’introduzione, è dello stesso avviso, in quanto in Italia, l’utilizzo della “Ru 486” è raddoppiato passando dal 3,3% delle interruzioni volontarie al 7,3%, raddoppiando tra il 2010 e il 2011, per cui secondo il ginecologo “è un’ipocrisia, una norma inutile e vessatoria. Non c’è nessun motivo medico per tenere la donna in ospedale”. L’aborto farmacologico – spiega ancora il ginecologo – viene condotto attraverso sostanze farmaceutiche a base di Mifepristone e Prostaglandine, senza la necessità di anestesia e prevenendo i rischi dell’aspirazione, inoltre in tutti i Paesi al mondo può essere trattato ambulatorialmente, ma anche a domicilio, risparmiando sui costi della sanità, in un contesto che vede la riduzione dei posti letto.


10 Febbraio 2014

Categoria : Salute & Benessere
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