Dietro la scomparsa dello psichiatra Rocco Pollice un motivo in più per andare avanti: si guardi alla sofferenza psichica di tanta gente
(di Flavio Colacito – psicopedagogista). La morte improvvisa e tragica del collega Rocco Pollice, pone delle riflessioni spontanee a chi ha a cuore le sorti della città dell’Aquila. Rocco, per chi lo conosceva, ha sempre sottolineato l’importanza della prevenzione in qualsiasi settore sociale, credendo nel ruolo dell’operatore chiamato a sostenere le sofferenze dello spirito, spesso meno evidenti rispetto a quelle del corpo. I giovani erano la sua passione, sapeva ascoltarli quando dietro ai loro silenzi emergeva un vuoto esistenziale che talvolta gli adulti preferiscono non ammettere, forse perché è più facile disconoscere un problema piuttosto che affrontarlo. La sorte ha voluto che anch’egli venisse travolto dai demoni interiori, figli di quel “male oscuro” capace di tessere la tela che conduce alla fine. Pollice era uno psichiatra sui generis, uno di quelli che, appena lo vedi, entri subito in sintonia con una visione del mondo dove la medicina serve solo nei casi estremi, mentre è fondamentale il recupero della persona attraverso un’educazione al mestiere del saper vivere, del relazionarsi, dello scoprirsi parti attive di un mondo che talvolta sembra ignorarci. La sua scomparsa ha destato un cupo dolore in tutti quelli che condividevano i suoi metodi, unitamente ad un senso del dovere nel pieno rispetto dell’etica medica,cosa che gli aquilani apprezzavano tantissimo, in particolare nella lunga agonia esistenziale che si protrae da quella terribile notte del 6 aprile 2009, una data che aveva segnato in molti cittadini l’inizio di turbamenti di origine psicologica e nervosa, di smarrimento, solitudine, ricerca di una dimensione relazionale in uno scenario socialmente depresso e frantumato. Pollice non si è mai arreso, spendendosi assieme ad altri professionisti fin dalle prime ore dell’immane tragedia, animato com’era dal timore che bambini e anziani potessero cedere sotto il peso dello shock subito dal trauma del terremoto, un mostro invisibile capace di inghiottire uomini, sogni, speranze, in pochi minuti. Ciò è testimoniato dall’affetto sincero di quanti hanno voluto esprimere il loro pensiero, partecipare ai funerali, ricordare la funzione del centro Smile da lui diretto, un prezioso strumento a sostegno della sofferenza mentale e psicologica dei giovani. Cosa ci ha lasciato Rocco? Un grande senso di responsabilità che dovrebbe servire quale monito per tutte le istituzioni, in particolare contro quei mestieranti della politica che hanno sempre concepito la ricostruzione solo materialmente, dimenticando quella sociale, perfino da parte di alcuni esponenti del governo, lontani anni luce dai reali problemi della città. L’Aquila è stata la passerella mediatica per eccellenza, teatro di furibonde lotte ideologiche su come e dove ricostruire, ma in pochi – tranne la risorsa del volontariato – si sono spesi per contrastare il disagio che serpeggia tra la gente, mettendo a rischio l’identità dei più fragili , con un evidente aumento della marginalità sociale. Pollice queste cose le considerava ed erano diventate un cruccio, una realtà probabilmente troppo grande da affrontare sotto un cielo carico di nuvole nere e minacciose, quelle stesse nubi simbolo della burocrazia e del tempo che non offre certezze sulla ripresa della città e del suo comprensorio, una rinascita che non potrà mai prescindere da un modello dove mente e materia non s’incontrano. Mai potremo capire veramente cosa spinge una persona a suicidarsi, tuttavia ciò che rimane in certi casi è il bello che ci ha lasciato, un motivo ulteriore per fare bene e presto il prioprio dovere.
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