Anche in Abruzzo il film “Lo sguardo di Satana – Carrie”. Pregi e difetti del remake capolavoro di De Palma
(di Flavio Colacito – psicopedagogista). Anche in Abruzzo è in programmazione nelle sale cinematografiche regionali l’attesissimo film “Lo sguardo di Satana – Carrie”. Quali saranno le motivazioni che destano interesse a realizzare remake di gloriose pellicole che hanno concorso a rendere grande il cinema del passato, non possiamo saperlo, ma chiederselo è comunque lecito, visto che in ballo c’è nientemeno che la riproposizione di un cult degli anni ’70 come “Carrie” di Brian De Palma. Il film è affidato alla regia di Kimberly Peirce, regista di “Boys don’t cry” (1999), più altre pellicole trascurabili, che attraverso “Lo sguardo di Satana – Carrie” avrà modo di suscitare alcune perplessità nei cultori del film originale, in quanto non potrà certamente essere visto alla stregua di una rilettura, quantomeno una reinterpretazione del romanzo originale di Stephen King, neppure prestandosi quale possibile omaggio cinefilo all’originale di De Palma. La Peirce ha deciso di non modificare sostanzialmente la linea narrativa, limitandosi a proporre una versione più attuale attraverso l’introduzione di nuove tecnologie e “social network” che danno un rilievo maggiore agli effetti speciali, in particolare nelle sequenze finali che ricordano un certo tocco splatter. Queste scelte, d’altro canto, consegnano al pubblico un’opera non del tutto all’altezza del classico del 1976, con forti carenze nella forza espressiva, essendo quasi assente l’intensità emotiva, il senso artistico dell’intera operazione, palesando la natura essenzialmente economica dell’intera operazione basata sullo sfruttamento dell’opera di De Palma quale richiamo alla memoria. La storia ci consegna una Carrie White introversa ed infelice, vissuta sempre assieme alla madre affetta da un evidente squilibrio psicologico manifestatosi attraverso il fanatismo religioso soffocante. Senza esperienze di vita, Carrie ha enormi difficoltà ad intessere relazioni sociali, subendo il bullismo da parte delle compagne di scuola ostinate a perseguitarla, in quanto diversa dalle altre coetanee. Un giorno la ragazza si accorge di possedere poteri telecinetici non prestando eccessiva attenzione al fatto, tanto da non valutare la loro pericolosa portata. Il tempo passa e con esso non diminuiscono le ripetute offese a suo danno, fino a quando una compagna particolarmente crudele non mette a punto un piano macabro in occasione del ballo di fine anno, facendo scatenare la devastazione generata dalle facoltà nascoste di Carrie ormai fuori controllo.“Lo sguardo di Satana – Carrie” non si distacca molto da altri prodotti analoghi proposti in varie salse al pubblico odierno, seguendo il genere horror perfetto per una platea giovanile dove vi sono sempre chiari accenni alla sessualità e scene piuttosto cruente. Il tema centrale del film, ossia la complessa conquista di un ruolo adulto messa a dura prova da un mondo discriminante e chiuso nei ruoli, risulta superficiale e frettoloso, perchè c’è una modesta attenzione verso l’identità dei personaggi e un marginale approfondimento del tormentato rapporto tra Carrie e la madre sul quale dovrebbe snodarsi il vero nodo drammatico della storia. L’attrice, Chloe Grace Moretz, che interpreta Carrie, ha veramente poco da spartire rispetto alla protagonista del 1976, risultando non pienamente credibile nel dare vita a una ragazza presumibilmente poco attraente, emarginata e goffa. Al contrario Julianne Moore è perfetta nel ruolo della madre disturbata, nonostante la sceneggiatura sia lacunosa sotto l’aspetto introspettivo, il ruolo da psicopatica affetta da integralismo religioso le calza a pennello, complice una buona carriera artistica alle spalle. Il film, in ultima analisi, appare apprezzabile grazie ad una buona fotografia e al giusto ritmo senza la presenza di una suspense costante che catturi lo spettatore dall’inizio alla fine, tradendo uno dei baluardi dell’horror. “Lo sguardo di Satana – Carrie”, se paragonato al cult del 1976, mette nero su bianco la differenza di stile, contenuti, linguaggi, piani narrativi, tipici di un maestro del cinema, quasi abbozzati in chi, sia pure con lodevole impegno, cerca di riproporre qualcosa a suo modo. De Palma con la sola persuasività delle immagini, fu in grado di infondere nel suo film un nauseante senso di ambiguità unito all’attesa, creando atmosfere ipnotiche assieme ad una tensione quasi palpabile, tanto che Sissy Spacek fu capace di mostrare il conflitto tra la disperata fragilità della protagonista e il suo terribile potere. La Peirce non riesce a fare almeno in parte qualcosa di simile, forse maggiormente attenta all’aspetto commerciale rispetto a quello stilisticamente raffinato di De Palma che, con molta probabilità, attualmente non avrebbe quel riscontro economico sperato.
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