“Vivere di lavoro, non morire”
Chieti – Giustino Zulli scrive: “Recentemente, l’Inail Abruzzo ha presentato il “Rapporto 2012” sugli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e, purtroppo, le morti che ancora una volta segnalano che il tributo che il mondo del lavoro paga annualmente per portare a casa di che vivere è ancora alto, troppo alto. A volte c’entra anche la fatalità, la distrazione ma non sempre, specie nei cantieri edili, si fa la giusta e corretta prevenzione. Che costa e, in tempi di crisi come quelli che stiamo attraversando, che ha la fortuna di lavorare, spesso lo fa in condizioni di insicurezza.
Gli infortuni denunciati nel 2012 sono stati 16.199 con una diminuzione dell’11% rispetto al 2011. Sembrerebbe una buona notizia ma, purtroppo, non è così perché il numero dei morti è aumentato, seppur di poco, passando dai 24 del 2011 ai 25 del 2012 ( 6 in provincia di Chieti, 7 a L’Aquila, 5 a Pescara, 7 a Teramo ) ed anche perché, in un anno di grave crisi economica, il numero delle ore di cassa integrazione ordinaria e straordinaria è paurosamente aumentato.
Quindi, con molte ore in meno di lavoro ci sono stati più morti. Per gli stessi motivi, anche il numero delle malattie professionali denunciate nel 2012 ( 4.924) è inferiore del 13,90% rispetto al 2011 ( 5.719 ). Come accennato, è il settore dell’edilizia quello più esposto e i casi di infortuni mortali sono passati dai tre del 2011 ai sei del 2012. Molti infortuni e morti si verificano fuori dal posto di lavoro, sui mezzi di trasporto e in itinere e sono stati rispettivamente 2.604 e 11 per lo più dovuti a stress, stanchezza fisica, oltre, naturalmente, alla fatalità sempre in agguato.
Che fare per ridurre al minimo o anche sperabilmente eliminare questo tributo pagato per lavorare? A mio avviso, anche se non sottovaluto l’impegno di imprenditori e sindacati dei lavoratori dipendenti, bisognerebbe fare più corsi sia sui posti di lavoro che fuori per affermare la cultura della prevenzione e sicurezza a volte sottovalutata anche dai lavoratori che non indossano i caschi, i guanti, le scarpe antinfortunistiche ecc. Poi c’è anche un altro problema: negli ultimi anni specie nel settore dell’edilizia, la presenza di molti giovani lavoratori di altri Paesi, che non sempre conoscono le nostre leggi ed hanno anche difficoltà, per la scarsa conoscenza della nostra lingua, è considerevolmente aumentata. Quindi, almeno a mio parere, bisognerebbe fare anche corsi di prima alfabetizzazione per dare anche a chi lavora in Italia provenendo da altre nazioni, la possibilità di conoscere cosa bisogna fare per evitare infortuni che creano invalidità temporanee e permanenti e, a volte, anche la morte.
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