I Re Magi spinti a mano
Tra luci elettroniche e led multicolori se ne vanno le feste, con l’Epifania che “tutte le porta via”. Il ricordo va a 50 o più anni fa, nei paesini dell’Aquilano, dove nelle chiesine fredde e isolate qualche ragazzo aiutava il prete ad allestire il presepe con legno, carta straccia, muschio e vischio di bosco, statuine di gesso, pezzetti di specchi per i laghetti, sassi, sabbia per le stradine e qualche cespuglio secco. Scenari poveri e frutto di lavoro durato settimane, la capanna costruita dal parroco con tavolette e chiodi.
Il presepe, come lo ricorda qualcuno, era a modo suo vivente. Nel tempo, dalla metà di dicembre, comparivano a distanza dalla capanna i Re Magi, lontani in prospettiva, perché arrivavano da Oriente guidati dalla cometa di carta argentata.
Man mano, le statuine venivano avvicinate, perché doveva sembrare che camminassero. Il 5 gennaio, c’era l’ultimo avvicinamento: i Re Magi giungevano alla stalla in cui Cristo piccolino riposava al caldo dei fiati di bue e asinello. Il presepe dei semplici finiva così, con l’ultima spintarella ai tre sovrani recanti i doni per il Neonato.
Il 7 gennaio si smontava tutto, riponendo il materiale riutilizzabile l’anno successivo. Mondo di ingenue gioie, tra giovani e ragazze che si davano da fare per il Natale, se il prete li chiamava a sé e magari ogni tanto allungava un dolcetto. Raramente, c’era persino un panettone da consumare fino all’ultima uvetta rimasta nel cartoccio. Le messe si sprecavano, segni di croce e inginocchiamenti davanti all’altare e qualche canto, se c’era qualcuno che sapesse cantare. Un tempo andato così remoto, che sembra non sia mai esistito. Ma da quei Re Magi a spinta veniamo tutti, anche i sontuosi presepi viventi di questi giorni, tra flashes e fotocamere digitali a profusione. Povere, antiche cose dissolte anche nei ricordi di un mondo che non sa più provare la minima gioia, se non costa parecchio ed è griffata. Quest’anno di ritrovata e forzosa parsimonia, con sconti da saldo.
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