Il comitato per l’ospedale Rinaldi
Pescina – Il comitato pro ospedale Rinaldi ci invia il seguente documento: “Egregie Autorità, la salvaguardia e la valorizzazione delle zone montane, ai sensi dell’art. 44 della Costituzione, rivestono carattere di preminente interesse nazionale. La legge quadro sulla montagna prevede che alle predette finalità concorrano, per quanto di rispettiva competenza, lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali. Essa definisce interventi speciali per la montagna quelle azioni organiche e coordinate dirette allo sviluppo globale della montagna, con particolare attenzione al profilo “sociale, anche mediante la garanzia di adeguati servizi per la collettività”. Al fine di promuovere le dette azioni è stato previsto apposito Fondo a carico del bilancio dello Stato, cui possono attingere le Regioni e gli Enti locali. Le disposizioni normative sulla montagna sono destinate anche ad interventi di sostegno per i territori compresi nei parchi nazionali regolamentati dalla Legge n. 394/1991.
Espressamente è previsto nella norma in commento che le Regioni possano emanare direttive di indirizzo tendenti a sollecitare e vincolare la pubblica amministrazione a decentrare nei Comuni montani attività e servizi dei quali non è indispensabile la presenza in aree metropolitane (addirittura ospedali specializzati e case di cura ed assistenza), disponendo gli stanziamenti finanziari necessari. In altri termini, il Legislatore ha prestato particolare attenzione a garantire servizi pubblici alle aree montane, non escludendo affatto quelli di assistenza sanitaria, configurando la possibilità di specifici stanziamenti finanziari. Successivamente, con la recente riforma costituzionale, tali diritti costituzionali dei cittadini hanno trovato migliore classificazione giuridica sotto il nomen di “livelli essenziali” di assistenza, ribadendo, qualora ve ne fosse stato bisogno, l’affermazione di un principio di uguaglianza sostanziale quale criterio orientativo nelle scelte di politica legislativa non solo in materia montana.
Il bene Salute è un prius logico di qualsiasi diritto di cittadinanza. Tale priorità, pertanto, va perseguita nell’esclusivo interesse della collettività, senza cedimenti a logiche ragionieristiche di risparmio, soprattutto laddove le Procure della Repubblica imperversano per reprimere abusi e malversazioni a danno delle casse pubbliche in materia di spesa sanitaria.
E’ questione di Etica, prima ancora che di Diritto e di Economia.
Qualsiasi atto in materia sanitaria, dunque, non può che essere concertato, in una logica di programmazione pluriennale, al fine di garantire tanto il pieno rispetto del diritto alla salute, quanto il contenimento della spesa sanitaria per le esigenze di bilancio, attraverso una sintesi ricercata mediante condivisione e partecipazione democratica. Non si tratta di un’affermazione assurda in termine di rappresentanza politica, poiché se si considera che nessuna forza politica ha manifestato chiaramente, prima delle elezioni, i propri intendimenti in materia di sanità, nessuna forza politica, neppure quella che esprime la maggioranza attuale di governo regionale, può sentirsi legittimata a legiferare senza concertazione alcuna, facendo leva sul mandato elettorale ricevuto.
Quella che oggi si intende per Marsica orientale, territorio ricompreso in un Parco Nazionale ed in uno Regionale, è una vasta zona della provincia dell’Aquila che coincide con la giurisdizione amministrativa della Comunità montana «Valle del Giovenco» (Aielli, Bisegna, Cerchio, Collarmele, Gioia dei Marsi, Lecce nei Marsi, Ortona dei Marsi, Ortucchio, Pescina, San Benedetto dei Marsi) e con i territori di Cocullo, Opi, Pescasseroli.
Tutti questi centri, che ricadono in area montana segnata dal passaggio del fiume Giovenco e sovrastante l’Altipiano del Fucino sino alla Val Fondillo, costituiscono – per ragioni storiche, amministrative, religiose, economiche – un unico ambito, legato, da millenni e sino ad oggi, alle medesime dinamiche, per quanto intervengano, tra i suoi estremi, oltre sessanta chilometri ed un dislivello di altitudine di cinquecento metri (dai nemmeno settecento dei paesi alle rive del fucino ai milleduecento di Opi e Pescasseroli) nonché condizioni di vita in apparenza eterogenee.
A detta zona – che ricomprende 13 dei 71 comuni ricadenti nell’ambito della disparenda Asl Avezzano Sulmona – fa principalmente riferimento il presidio ospedaliero di Pescina, centro che ha costituito per secoli una sorta di capoluogo di questa fascia montana, e che da tempi antichissimi ha vantato un ospedale («San Nicola Ferrato») dove si esercitava l’ars medica e non soltanto la “hospitalitas” richiamata dal Presidente Chiodi nella sua lettera-manifesto per “liquidare” l’idea stessa dei piccoli ospedali (che sarebbero legati ad una vecchia logica di assistenza più che a quella di cura propria e moderna della salute clinica del cittadino). Molto prima della istituzione, ottocentesca, dell’Ospedale civile Serafino Rinaldi, del quale l’attuale esistente presidio è la continuazione.
Che – a prescindere da notazioni storiche e nostalgiche – la Marsica orientale abbia necessità di un presidio ospedaliero lo si può argomentare con valide ragioni, ancor oggi, pur in presenza di un’esigenza di razionalizzazione dei costi della Sanità regionale (esigenza che, si ripete, non si concreti in soli tagli) e di economie generalizzate.
Attualmente la popolazione che risiede in questa area è di ventiduemilacinquecento persone. La dinamica demografica degli ultimi venti anni non mostra, complessivamente intesa, il saldo catastrofico che si lamenta per altre aree interne montane, essendo stata la decrescita dei residenti, in venti anni, di 1,7%, apparentemente in linea con la ipotesi alta di previsione di riduzione della popolazione costruita da ISTAT per la nostra provincia nei prossimi quaranta anni. Ma – pur senza far riferimento alla generalizzata crisi che ha colpito il territorio né in particolare al tramonto della economia di montagna che ha condotto alla perdita di oltre il trenta per cento dei residenti in centri come Ortona e Bisegna – la dinamica di popolazione degli ultimi venti anni ci dice anche altro, e letta in una certa luce disegna, per la Marsica orientale, uno scenario più vicino alla ipotesi medio-bassa di previsione di riduzione della popolazione costruita da ISTAT per la nostra provincia, che ci attesta che tra quaranta anni i residenti nella provincia di L’Aquila saranno la metà degli attuali!
La popolazione residente è molto più anziana della media del Meridione. La fascia degli ultrasessantacinquenni si avvicina ad un quarto della popolazione complessiva (es.: Pescina: 24,39%), mentre la media abruzzese è del 21,2%. A concorrere alla media siamo anche noi, e c’è da tenere presente che sulla Costa abruzzese ci si avvicina molto al dato dell’Italia meridionale (17,9%) con dati che da soli (Montesilvano: 16,67%) fanno comprendere quale gap nella struttura della popolazione ci sia tra la nostra zona e quelle a maggiore sviluppo economico e demografico della Regione Abruzzo.
Alla luce di questo dato si comprende bene come lo scalino di natalità tra la nostra zona ed altre della Costa abruzzese consista di quasi una nascita e mezzo in più ogni mille abitanti, decrescita relativa che va ad aggiungersi al dato assoluto e che non potrà che determinare, nel prossimo futuro, che maggiori e più gravi squilibri, ove non si intervenga per tempo.
C’è ora da decidere se le popolazioni che risiedono in ambito montano, svantaggiate, debbano essere ulteriormente penalizzate o se, piuttosto, non debbano essere previste delle forme di “compensazione” e di “aggiustamento” che contribuiscano a scongiurare, per quanto possibile, uno spopolamento che è già in atto, e che solo parzialmente è stato coperto e reintegrato grazie all’immigrazione straniera (che chiede anch’essa gli venga assicurato il basilare diritto alla salute).
Anche nella struttura familiare, ci si trova di fronte a dinamiche demografiche epocali che stanno conducendo all’estinzione delle strutture nucleari, oltre che al tramonto dei costumi. Negli ultimi cinque anni, nei due maggiori centri della Valle del Giovenco, Pescina e San Benedetto dei Marsi, a fronte di un lieve decremento della popolazione, sono censiti il 5% di nuclei familiari in più. Tale informazione ha una sola lettura: ci sono più anziani soli.
C’è da determinarsi se questa popolazione non abbia bisogno di un ”quid” in più di risorse – fatti salvi gli sprechi, da eliminare prontamente, e dei quali nessuno chiede la reiterazione, sia nella sanità pubblica che in quella privata convenzionata – invece di un taglio della offerta ospedaliera, che costituisce, anche da un punto di vista psicologico, un caposaldo per persone come quelle descritte. C’è da analizzare se lo scaricare gli inevitabili costi sociali (certamente derivanti da una minore offerta di salute sul territorio) sui cittadini di una zona già sottoposta a trend negativo non comporti effetti insostenibili per quel territorio, innescando un meccanismo perverso che produrrà a sua volta ulteriore emigrazione, ecc. .Come autorevolmente ricordato da illustri figure di amministratori della Regione della Prima Repubblica, nelle altre Nazioni ci si attiva normativamente onde “tenere” sui territori svantaggiati le popolazioni, tentando di perequare i benefici in un’ottica di tenuta complessiva di un sistema. In Abruzzo no, ed il pericolo di essere fagocitati dalla Costa è assai avvertito.
Nemmeno il recente flagello del 6 aprile che ha colpito l’intera provincia aquilana sembra aver sortito momenti di resipiscenza, e non è inopportuno sottolineare come il rientro del debito sanitario abbia portato a sottovalutare delle semplici considerazioni economiche classiche: in particolare, in difetto di sale operatorie presso il capoluogo di Regione non si è pensato di utilizzare quelle, da poco ristrutturate, di Pescina e Tagliacozzo, salvo reclamarne di mobili ed itineranti da parte del sindaco di Avezzano. Autentici paradossi che, si spera, all’atto della fusione delle due aziende sanitarie locali della nostra Provincia in una sola, conducano ad un’ottimizzazione delle risorse aliena da tatticismi e politicismi (sotto i quali noi non potremmo che soccombere). Senza voler speculare sul terremoto, pure si ritiene che anche sotto tale profilo l’intera Provincia necessiterebbe di un “quid” in più, e non di un taglio, allo scopo di reintegrare un ambiente complessivo che conduca ad una nuova fase di tutto il territorio.
La recente fusione della Asl 1 e 4 dovrà inevitabilmente comportare un radicale riesame dei piani industriali attualmente vigenti. Quello della Asl Avezzano Sulmona ha consentito che si chiudessero le chirurgie di Pescina e Tagliacozzo, mentre ulteriori provvedimenti – consistenti in massima parte di tagli – vengono paventati, sebbene lo stesso piano industriale (sino a quando sarà in vigore?) preveda che alle chiusure debba accompagnarsi una contemporanea maggiore offerta sanitaria presso le altre strutture in grado di assorbire la domanda (ammesso che ciò sia possibile). Questo non sta avvenendo, e solo si legge dell’idea di “chiudere” dei piccoli ospedali, tra i quali i quali quello di Pescina, per realizzarne dei nuovi, nell’ottica dell’ospedale grande. Ma sull’aggettivo «grande» bisogna intendersi, ché altrimenti tutto l’Abruzzo, che è abitato (un milione e trecentomila persone) quanto da un quadrante della città di Roma, si troverà, tra poco, seguendo i soli criteri della salvaguardia del bilancio regionale, ad accorrere negli ospedali della Capitale. Incidentalmente, in qualche caso, negli ultimi periodi, ai cittadini della Marsica orientale tale percorso sarebbe persino convenuto, essendosi registrate delle semplici fratture di pérone per le quali si è reso necessario il ricovero a Teramo (Pescina-Teramo: km. 117) per l’indisponibilità di posti nell’ambito della attuale Asl, a riprova del difetto di un’offerta alternativa capace di coprire i ricoveri meno problematici (ma che problematici inevitabilmente divengono in occasione di simili viaggi della speranza, ai quali sempre più spesso vengono sottoposti i cittadini, senza nessun reale beneficio delle casse pubbliche, e con le certe ricadute sociali sui singoli).
Può apparire un ritornello già ascoltato, ma non sarà inutile ripetere quello delle condizioni disagiate della zona in cui ricade l’ospedale di Pescina. Abbiamo detto dell’altitudine, e del clima che per molti mesi all’anno rendere ostica la vita in quei luoghi. Per le vie di comunicazione siamo fermi a quarant’anni fa, e le cronache quotidianamente lo attestano. Senza voler esagerare, pure la difficoltà negli spostamenti va tenuta in debito conto e la necessità di un primo presidio in grado di assicurare un intervento efficace non può essere in alcun modo sminuita, in specie se il sacrificio apporta un risparmio dello stipendio di un solo dirigente medico. Si vada solo con il pensiero al disastro autostradale avvenuto sulla A25 il giorno 31 dicembre 2005 nel tratto tra Pescina e Collarmele, quando le condizioni atmosferiche determinarono la chiusura di un ampio tratto autostradale e un contemporaneo gravissimo incidente con quattro morti, decine di feriti e corsie bloccate, con i soccorsi resi difficoltosi dalla neve e dal ghiaccio. In tali frangenti, i trenta chilometri che separano i nostri cittadini dall’ospedale di Avezzano possono rappresentare una barriera insormontabile e rivelarsi persino esiziale. Si glissa su altri molteplici aspetti legati alle difficoltà di comunicazione tra tante piccole frazioni e località, o su episodi quali la frana della SS83 tra Gioia e Pescasseroli, che depongono sempre nel senso appena esposto.
Nell’ottica di una sanità sempre più partecipata dai cittadini ed in grado di intercettarne le vere esigenze, le riforme sono sempre bene accette. Ma queste non possono soltanto “tagliare”, o prevedere che domani si fornirà un servizio migliore senza cominciare effettivamente a fornirlo, con atti concreti, e verificando l’utilità di quanto fatto in uno stretto rapporto costi-benefici. Dove nei costi debbono essere computati anche quelli sociali, che sono innumerevoli, e non tutti immediatamente monetizzabili. La previsione di tagli ed aggiustamenti, quali ad esempio la cancellazione del distretto sanitario di base di Gioia, non possono essere compiuti senza che in qualche modo ci si attrezzi per fornire il servizio costituzionalmente garantito della tutela della salute, erogato ottimizzando i mezzi a disposizione. Nuove forme di interazione possono essere previste sul territorio, tra gli Enti della Sanità pubblica e le Istituzioni del territorio – quali ad esempio i Comuni o la Comunità montana – come già sperimentato in altre zone d’Italia. Analogamente, non tutte le ricette che sono state utili in altre regioni (il depotenziamento dei piccoli presìdi in Toscana) debbono per forza attagliarsi e riprodursi in fotocopia per la nostra Regione e, in particolare, all’articolata provincia aquilana. Coraggiose intraprese e sinergie che contemperino la finitezza dei mezzi a disposizione, le diverse esigenze di tutti i compositi territori abruzzesi ed il particolare status montano di alcuni, lungi dall’apportare nocumento ai bilanci, potrebbero rivelarsi strumenti per un rilancio del territorio, dei territori, come il nostro, attualmente preda di un progressivo inviluppo che solo un’iniezione di sano “fare” potrebbe e potrà efficacemente infrenare. La ricerca e la sperimentazione di nuove forme dovrebbe essere il faro conduttore di ogni riforma, senza vergognarsi di valorizzare tutte le energie e le potenzialità anche dei piccoli centri (come accade in Lombardia per alcuni Enti e aziende ospedalieri, che hanno centri diffusi sul territorio localizzati in paesi piccoli come e più dei nostri), evitando per quanto possibile il solo approccio economicistico. La Sanità, ce lo dimostra anche il dibattito americano, è cosa troppo seria e delicata per essere trattata con il solo contro profitti e perdite alla mano. Il solo approccio economicistico è evidentemente insufficiente ad assicurare l’equità e l’universalismo ovvero, per dirla con l’ultimo Piano sanitario regionale approvato nel 2008, «la pari opportunità di accesso e fruizione dei servizi sanitari da parte di tutti i cittadini presenti a qualunque titolo sul territorio regionale, tenendo conto delle specificità territoriali delle aree svantaggiate e montane».
Si consideri, infine, che la Valle del Giovenco, come ripetuto più volte, è ricompresa nel perimetro di Parchi Nazionale e Regionale e può sperare in un futuro prospero solo investendo nel turismo culturale ed ambientale che già ora determina, in alcuni periodi dell’anno, un significativo incremento di popolazione. Un depotenziamento di servizi essenziali inciderebbe inevitabilmente sull’attrattiva del territorio. Al riguardo non si può che far rilevare come l’inesistenza attuale di un vero servizio di emergenza sanitaria (118), l’assenza di eliporti per l’elisoccorso, mortificano il rispetto dei tempi di risposta sulle emergenze-urgenze.
Alla luce delle considerazioni su esposte, si ritiene di rassegnare all’attenzione delle Autorità in indirizzo, al fine di offrire un contributo concreto al dibattito politico – legislativo in corso, in previsione dell’adozione di un nuovo piano sanitario regionale, una proposta di articolato di Legge regionale, per altro sullo schema già adottato da altre Regioni italiane, che tiene conto delle esigenze di salvaguardia delle zone montane mediante l’istituzione di Distretti socio-sanitari montani e Presidi Ospedalieri montani.
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