Ricostruzione, il Governo la vuole o no?
L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – I SOLDI SONO FINITI, IL 2014 PORTA NUOVI INTERROGATIVI – (Foto: Luna e ponteggi, 11 dicembre in centro – Sotto: portici e altri scorci natalizi) – Nel corso del 2013 sono stati spesi o comunque resi disponibili più o meno 1.150 milioni di euro per la ricostruzione dell’Aquila e del cratere sismico, e secondo il sottosegretario Giovanni Legnini anche di zone al di fuori del cratere. Questo ha detto in una intervista al Tg3 Rai Abruzzo l’uomo di governo, al quale tutti riconoscono un inequivoco impegno a favore dell’area terremotata. Ha anche aggiunto che è stato messo a punto – con la legge di stabilità approvata anche in Senato tre giorni fa – un meccanismo di previsione delle risorse per gli anni futuri. Quale sia, non è dato per ora sapere nei dettagli. Conferma la senatrice Pezzopane: per il 2014 dovrebbero essere disponibili risorse tali da non interrompere la ricostruzione ormai iniziata. Gli emendamenti da lei predisposti hanno quindi avuto positive conseguenze. Ma il futuro si ferma al 2014. Tant’è vero che la stessa senatrice annuncia di aver chiesto un incontro con il premier Letta.
Stando alle parole di Legnini (del quale non dubitiamo) questo meccanismo farebbe sì che per ogni anno, cominciando dal 2014, vengano erogate delle risorse. Ordinatamente e senza doversi consumare in preghiere. Pare impossibile in un paese di sofismi e bizantinismi oppiacei come l’Italia. Speriamo di sbagliarci.
L’esperienza suggerisce di nutrire dubbi non sull’intento di cui parla Legnini, ma sulla sua efficacia. Cinque anni circa trascorsi dal sisma del 2009 e lo stato dei fatti rendono obbligatori e sensati dei dubbi. A suo tempo si parlò di almeno 10-11 miliardi di euro per arrivare ad una vera ricostruzione, oltre alle generose donazioni destinate ad alcuni immobili, inclusa la basilica di Collemaggio di cui si occupa (per fortuna) l’ENI, togliendo dalle grinfie di infidi personaggi appalti e vortici di denaro.
L’altra campana – quella dell’assessore Pietro Di Stefano – diffonde rintocchi diversi. Non nega, l’uomo comunale, che siano stati spesi i 1.150 milioni di euro, ma li ritiene insufficienti e comunque ormai agli sgoccioli, se non esauriti del tutto. Di Stefano pone domande, e non gli si può dare torto: chiede e si chiede se il Governo italiano voglia davvero ricostruire L’Aquila e il cratere, 56 comuni in tutto più gli altri di recente inclusi tra i danneggiati. Chiede e si chiede, con logica inoppugnabile, se esista la volontà di risolvere il problema liberandosi da “lacci e laccioli” imposti da un’Europa diffidente e poco generosa.
Vuol sapere, Di Stefano, se davvero il Governo abbia la forza, o la coerenza, di emanare un decreto e o un altro atto legislativo “per la ricostruzione”, con fondi previsti e spendibili di anno in anno, salvo tutte le verifiche legittime e anzi auspicabili, visto che nelle maglie di inchieste scottanti sugli appalti finiscono addirittura persino preti e prelati, oltre che imprenditori e sveltoni di varie estrazioni. Premesso che un’inchiesta non è una condanna, ma un accertamento.
L’Aquila chiede al Governo: deciditi a emanare un atto che dia certezze e consenta previsioni. Insomma, soldi sicuri, tanto all’anno, e per un certo numero di anni. “A dieci ci metterei la firma” disse Bertolaso nel 2009. Forse aveva proprio ragione, forse era addirittura ottimista… Oppure abbia, sempre il Governo, la lealtà , il coraggio politico di dire: L’Aquila non potrà essere ricostruita, almeno nella sua interezza. I soldi non ci sono e non ci saranno.
In effetti, guardando certe foto e certe profonde e strazianti devastazioni di edifici sacri e civili, è inevitabile la domanda: vale la pena e la spesa (molti, molti milioni magari per una singola chiesa) di ricostruire un edificio che non sarà mai più “autentico” e soprattutto, mai al sicuro se colpito dalla forza di un terremoto?
Nel 2013 e anche prima, alcuni politici aquilani (in prima linea la senatrice Pezzopane e il sindaco Cialente, ma non solo loro) hanno combattuto una estenuante, improba battaglia contro Roma, contro resistenze pervicaci e ottuse, contro partiti e lobbies annidati nei luoghi più impensabili, contro burocrati, spaventose lentezze, e una legislazione farraginosa e insidiosa, strappando sempre alla fine dei risultati che Roma ci fa cadere dall’alto, come concessioni e non come frutto di solide convinzioni. Bene o male, quei 1.150 milioni sono spuntati. Ma non si va avanti in questo modo. Non si può chiedere che dei politici debbano recarsi a Roma con l’armatura e con il gladio in pugno, oppure vadano a cercare sostegni e alleanze avventurose e improvvisate per spillare quattrini. Roma non deve farci regali o ostentare munificenze ipocrite. Deve dirci se vuole ricostruire un pezzo d’Italia, oppure no.
Se dice sì, deve approntare tutti i meccanismi e gli strumenti per farlo senza sfinire i politici, senza costringerli “ad impossibilia“.
Questo ci pare di dover dire alla fine di un anno difficile e all’inizio di un anno nebuloso, costellato da insidie e trappole. Il Governo non riesce a capire – e questo stupisce – che qui si sta solo chiedendo il diritto di esistere. Gli aquilani vorrebbero solo vivere una vita, non un’avventura satrapica e ambiziosa. Se poi è deciso che debbano andarsene tutti, occorre avere il coraggio di affermarlo a chiare lettere.
La verità amara è che, in cinque anni, secondo molti italiani e molti europei, siamo visti solo piagnoni a mano perennemente tesa. Se, come pochi politici dotati di logica chiesero anni fa, e tra loro il sindaco Cialente, si fosse fatta subito una legge per L’Aquila, o adottata una tassa di scopo, ci troveremmo molto più avanti verso un futuro descrivibile e misurabile in un certo numero di anni. Invece, non c’è neppure una legge regionale per la ricostruzione e solo ora si annunciano in passerella i primi passi di riedificazione dell’edilizia residenziale. La politica è sovente solo spudorata.
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