Siamo all’Italia divenuta insopportabile
L’Aquila – (Immagini it.paperblog. com e decoder.it) – (di G.Col.) – La indefettibile senatrice Pezzopane, catafratta da alcune sue colleghe per assicurarsi la policromia politica, ha combattuto settimane con i suoi emendamenti, ottenendo 600 milioni per la ricostruzione aquilana, ben sapendo che durante il 2014 bisognerà ricominciare da capo. Due miliardi di euro donati dall’INAIL sono da almeno due anni fermi e inutilizzabili, insabbiati tra leggi, regolamenti, bizantinismi soffocanti. Basterebbero per un paio d’anni come solido contributo ad una rinascita tutta da disegnare, ma sicuramente garantita dall’ingente somma. Accade che, annegati nel mefitico marasma di uno stato impastoiato, elefantiaco, fumatore d’oppio, i soldi donati non possono essere erogati: sono bloccati da qualche parte, fermi, benché i donatori garantiscano che esistono ancora. Per infondere fiducia.
Di fiducia, invece, gli italiani non ne hanno più. Meno ancora se sono italiani piegati da un cataclisma, come gli aquilani.
Siamo arrivati al punto di non ritorno in cui l’Italia diventa insopportabile, e nessuno crede più a nessuno.
Altissimo e penetrante il grido di una bella imprenditrice che oggi, nella animata Arena televisiva di Giletti, ha gridato al Ministro Quagliariello, che prometteva il taglio dei parlamentari: “Sono vent’anni che dite le stesse cose e non le fate!”.
Un’invettiva sintetica e riassuntiva, magari immeritata personalmente da Quagliariello, ma emblematica. L’Italia è diventata insopportabile e la gente sceglie i forconi e i loro contigui protestanti sulle piazze in questi minacciosi giorni. Perché forse ai politici sfugge che la situazione è davvero seria, come non lo era dal dopoguerra, e che la rabbia monta in tutti gli strati sociali. A gridare era infatti un’imprenditrice, non un cassintegrato o un pensionato da 450 euro mensili. Pure tassati.
Nel paese con l’acqua alla gola per tasse e fallimenti, crisi e crolli dei consumi anche nell’acquisto dei cibi, anche nei supermercati. la politica rischia di impattare contro un proprio limite invalicabile: l’inettitudine, o forse – cosa peggiore – l’incapacità di capire, di rendersi conto. Mettiamola così: diciamo che non capiscono. Ma forse dovremmo dire qualunquisticamente che badano solo al proprio tornaconto, finchè dura, poi si vedrà …
E’ infatti ingiustificabile, gravissimo, sconcertante che a L’Aquila si stiano lesinando le risorse (che non sono mancate del tutto, ma non bastano come è ormai evidente), mentre due miliardi restano fermi, in quanto non si sa come entrarne in possesso. Non lo sa L’Aquila , e ci mancherebbe altro… Non lo sa Roma, non lo sa il donatore, non lo sanno i dirigenti ministeriali e i superburocrati ingessati dietro le loro scrivanie di frassino o di mogano, gli esperti, i consulenti, i cervelloni della galassia strapagata che dà vita e consistenza all’apparato. Passano due anni e i soldi restano lì. Qualcuno li ha persino dimenticati.
I pochi politici che guadagnano lo stipendio e svolgono con dedizione il loro lavoro, come la Pezzopane e qualche altro, combattono contro le ritrosìe romane, contro i collocatori di bastoni tra le ruote, per strappare al governo quanto occorre per continuare a ricostruire. E i due miliardi restano fermi dov’erano. C’è un perché in tutto questo? C’è una parvenza di logica, di senso? C’è quanto basta per indurre la gente a conservare un residuo di fiducia?
A quanto pare no. Lo dicono le piazze in questi giorni, lo dice l’uomo qualunque che incontri per strada e ti confida che, secondo lui, chi strepita e protesta, ha ragione. Pare che l’80% degli italiani dia ragione agli anonimi rivoluzionari che gonfiano il fiume della protesta, scacciano partiti e politica, gridando che devono andare tutti a casa, che sono tutti ladri.
Il trionfo del bordello scapigliato senza più regole e senza più leader con cui parlare, tentare accordi, ai quali fornire le ennesime promesse di cambiare un paese che sembra un Titanic dopo l’impatto con l’iceberg. Che c’era e nessuno aveva visto. Noi, invece, lo vediamo e non sappiamo cambiare la rotta: filiamo verso l’impatto.
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