Crisi, servono azioni forti e decise
Pescara – “I pannicelli caldi non bastano piu’, gli interventi estemporanei non risolvono quasi nulla, c’e’ bisogno di un’inversione di rotta radicale. Servono azioni forti, decise, perche’ da questa crisi si esce soltanto con una grande trasformazione, con un nuovo modello di sviluppo e il Piano per il lavoro e’ un punto centrale per la ripresa economica e la crescita”. Lo dice Gianni Di Cesare, segretario regionale della Cgil Abruzzo, nel giorno in cui i sindacati – Cgil, Cisl, e Uil – annunciano l’arrivo in Abruzzo di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, per la manifestazione unitaria regionale che si terra’ sabato a Pescara, nell’ambito della giornata di mobilitazione nazionale, con un corteo che partira’ da piazza della Repubblica (alle 10) e un comizio che si terra’ (alle 11.30) in piazza Sacro Cuore. Di Cesare se la prende con “la politica abruzzese, e in particolare la giunta regionale”, a cui dice che “e’ arrivato il momento di prendere atto della realta’ di una regione che non riesce a rialzarsi da una crisi che ha assunto aspetti davvero drammatici. All’Abruzzo la ripresa dalla recessione da sola non bastera’, si dovra’ cambiare passo se non si vuole rischiare di tornare indietro, verso il Mezzogiorno, verso temi e problemi sociali dai quali si era faticosamente emancipata”. Il segretario della Cgil fa riferimento agli ultimi dati forniti dall’Istat: in un anno (dal terzo trimestre del 2012 allo stesso periodo di quest’anno) abbiamo perso – dice Di Cesare – 31.000 posti di lavoro, mentre il tasso di disoccupazione dal 9,5 per cento e’ cresciuto fino all’11,8 per cento, mai cosi’ male negli ultimi dieci anni, e il tasso di occupazione e’ sceso dal 56,9 per cento al 53,1 per cento. Sono 64 mila gli abruzzesi che cercano lavoro (10mila in piu’) a cui aggiungere il numero degli inattivi, cioe’ di coloro che non si iscrivono alle liste del collocamento, che non provano a cercare un lavoro. L’Abruzzo, aggiunge, e’ gia’ sceso sotto la soglia del mezzo milione di occupati (erano 508 mila, oggi sono 477 mila). “Quanti altri dovremo perderne – si chiede il segretario della Cgil – prima di cambiare la politica economica e quella industriale?”.
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