Matteo Renzi vince anche in Abruzzo : breve analisi di un fenomeno e voglia di real politics


(di Flavio Colacito – psicopedagogista). Dietro alle primarie del PD e alla strepitosa vittoria del sindaco di Firenze,Matteo Renzi, come nuovo segretario del partito, è logico riflettere sugli effetti politici e sociali che hanno concorso a orientare le scelte dell’elettorato, in particolare quando i risultati delle primarie parlano di un trionfo: i dati non ancora definitivi indicano Renzi al 68%, Cuperlo circa al 18%, Civati fermo al 14%. Fino alle ore 17 di ieri, in Abruzzo gli elettori che sono andati a votare per le primarie del Pd sono stati poco meno di 35.000: sul totale, secondo le prime elaborazioni, circa novemila i votanti nell’aquilano, 8.500 nel teramano, 8.100 nel chietino e 7.500 nel pescarese, secondo i dati diffusi dalla segreteria regionale del Partito Democratico. Alle 12 avevano votato quasi in 15 mila. Questa affluenza è importante perché, come è noto, in Italia la disaffezione verso la politica è un dato di fatto e nel momento in cui un successo c’è diventa ancora più importante chiedersi come è avvenuto, soprattutto se ogni votante ha contribuito con 2 euro recandosi presso ciascun gazebo, ancora se perfino, secondo alcune voci, il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, avrebbe chiamato il neosegretario del Pd, Matteo Renzi, per complimentarsi dopo la vittoria alle primarie. Renzi, il simbolo del nuovo che avanza in politica, si è presentato agli elettori parlando del senso di responsabilità che spetta ai giovani che scelgono di entrare sulla scena politica e del fatto che, dopo il consenso ottenuto, ci sono le basi per un cambiamento. Certo è che il sindaco di Firenze appare il personaggio che mancava, quello antitetico rispetto al berlusconismo che ha influenzato un’epoca per poi mostrarsi avvitato su di sé, percepito poi dalla gente alla stregua di un modello lontano dai reali bisogni della gente alle prese con la crisi economica, oppure rispetto a Grillo che con il suo movimento non è stato in grado di tradurre concretamente quelle speranze di innovazione che pure i suoi sostenitori avevano sperato sostenendolo con un risultato elettorale di tutto rispetto, oggi alle prese con un una scarsissima credibilità e fiducia, un’occasione sprecata. Ma Renzi, il giovane Matteo, compassato e nello stesso tempo sanguigno da buon toscano qual è, ha doti oratorie che fanno breccia sui temi caldi del governo e che toccano i nervi scoperti del popolo, non risparmia mai bordate alla stessa sinistra ponendosi per alcuni come il “rottamatore”, per altri il “dissolutore” di un sistema politico e partitico ingessato, vecchio, ancora legato ai vetusti metodi da prima e seconda repubblica. L’originalità del Renzi-pensiero è tutta contenuta nella semplice regola che, anche nel proprio partito, se necessario, le mele marce si devono togliere dal cestino, che non tutti e non tutto ciò che appartiene all’ideologia di sinistra debba essere necessariamente salvato, che non si devono vedere nemici nelle altre coalizioni, ma, al contrario, diversi modi di affrontare uno stesso problema intravedendo possibili strategie di convergenza, avendo a modello un centro sinistra democratico ed europeista, senza essere succubi di un sistema qualora esso differisca dai reali bisogni del popolo. Nei modi di interagire mediaticamente, Renzi ha totalmente fatto l’opposto di Grillo che, in un vuoto di qualunquismi, disprezzo gratuito per i giornalisti, linguaggio greve e talvolta minaccioso, ha imboccato la via del confronto serrato, tuttavia deciso nei modi e contenuti, talvolta un po’ arrogante, forse da studente primo della classe, sicuramente rompendo gli schemi piatti di uno stile politico tradizionale, allontanandosi nel contempo dal modello oratorio di Berlusconi, dove il politico sembra tenere sotto controllo perfino i suoi stessi uomini di partito, sostenuto da musiche, inni e cori, che più che a un leader fanno pensare a un illusionista che controlla ogni cosa, comprese le coscienze e le volontà dei singoli, come se niente e nessuno possa pensare con la propria testa, perché una e una soltanto è la mente, dove l’attenzione verso le donne alla vita governativa è più d’immagine che sostanziale: risultato? La scissione tra alfaniani e berlusconiani, aggravata dalla condanna dello stesso Berlusconi e dal suo decadimento parlamentare e carismatico, dalla crisi dei consensi, una realtà dura da accettare per chi ha sempre cercato di cavalcare la scena vivendo il palco alla stregua di una star. L’intento renziano è sorretto dal malcontento generale degli italiani con il portafogli sempre più vuoto, alle prese con l’enigma tasse, con il lavoro che non c’è o che si perde a tarda età, insomma i punti caldi di una real politics che veda il politico impegnato sulle riforme auspicate dagli scontenti, dai delusi, da chi a votare non ci va da un bel pezzo, dai giovani alla ricerca di ideali, decisamente un’ambizione ripagata con quasi 3 milioni di votanti che hanno espresso la loro preferenza. Con lo stile renziano sembrerebbe inaugurarsi la politica della “giusta misura”, molto real, quella targata “we want”, contro l’altra dell’apparenza o dell’aggressione, urlata, ma non sentita, opportunista, a volte teatrale, in alcuni casi farsesca. Sarà così?


09 Dicembre 2013

Categoria : Società
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