Salette Aquilane: ricompiamo vent’anni
Sabato 30 tornano Le Salette Aquilane. Non proprio sabato, giorno di inaugurazione, ma poco dopo, il tempo per Angela Plazzi di cucinare le sue indimenticate melanzane alla parmigiana e magari anche due bucatini all’amatriciana. Domani molti di noi ricompiono vent’anni o qualcosa di più, tornando di botto ai primi anni Sessanta, quando Mario Plazzi irruppe a Coppito, sposò una bella ragazza del posto (Angela, appunto) e inventò il locale che sarebbe diventato l’anima della notte aquilana. Alle Saletta la parola orario non esisteva e potevi mangiare anche alle ore piccole. Se a Mario eri simpatico, s’intende. Tranquillamente, non c’era problema, tanto i carabinieri di pattuglia passavano sempre tra le 2 e le 3. E chiudevano un occhio. Chi avrebbe potuto pensare di opporsi alle Salette?
Lì dentro molti di noi (e di voi che leggete, supponiamo) hanno trascorso sere e notti, una vita, una gioventù, portandosi dietro o conoscendo ragazze, giocando al tressette fino all’alba (senza soldi), bevendo ottimi vini e liquori che solo Mario aveva in cantina. Molto, molto di più di un ristorante (dalla cucina davvero ottima). Un luogo dell’essere e del divenire aquilano verso gli anni che sarebbero arrivati, tra ninnoli e kitch ante litteram.
Anni non belli, manco a dirlo. Cominciando da quello in cui, a dicembre, Mario se ne andò. Da qualche tempo aveva preso l’abitudine di cucinare pesce di Fiumicino, delizioso, e forse lo strapazzo del vaievieni sulla sua sfiatata Mercedes nocciola lo aveva prostrato. O forse aveva solo deciso di andar via. Di salutarci tutti, perché prima o poi ci si saluta. Poi altri anni e il terremoto, mentre tutti diventavamo anziani, diversi, sperduti, silenziosi. Ora si torna alle Salette. E’ un gran bel giorno per L’Aquila e chi le vuole bene per quello che è stata, rimanendo nei cuori e nei ricordi. Che fanno una vita. Forse i soli spazi di una vita, pur essendo evanescenti e defluiti in un altrove.
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