Prendere sberle fa parte dei giochi…
Sulla grande delusione (chiamiamola con il suo nome) dell’esclusione dell’Aquila dal novero delle città aspiranti al ruolo di capitale della cultura europea nel 2019 ne abbiamo sentite tante, lette di più, e altre ne sentiremo. A noi sono sembrate sagge e dignitosamente composte le stringate parole di Stefania Pezzopane: “Ci abbiamo provato, ce l’abbiamo messa tutta, non ci siamo riusciti“. Talvolta è meglio dire poche cose, ma realistiche, anziché tante, ma scomposte. Ai buoni politici si addice la compostezza dell’eloquio, più degli sproloqui enfatici ed evanescenti.
Onestamente, L’Aquila capitale della cultura, e quindi un Abruzzo terra di cultura europea (anche se l’Abruzzo si è visto e sentito poco, come sempre), era forse un obiettivo sproporzionato alla realtà .
In Abruzzo per la cultura la Regione riserva due soldi bucati, perché ai grandi ragionieri bastano i numeri. Loro badano solo a quelli, specie quando si parla di soldi. Si lascia morire l’Accademia dell’Immagine. In Abruzzo (grazie a becere logiche politiche) per la cultura c’era un certo De Fanis, sub judice per una brutta storia, più disdicevole che grave. In Abruzzo chiudono cinema, i teatri vivacchiano, si legge pochissimo, si acquistano pochi giornali. Monumenti, ambiente e siti archeologici vanno in rovina. Si crede nei maghi e nelle fattucchiere. Si viaggia tra vicende giudiziarie davvero desolanti e perpetuate nel tempo. L’Aquila ci aveva provato, con tutte le sue smunte forze, credendoci anche come speranza di rinascita. E di ricostruzione.
Le teste d’uovo del Nord Europa sono state di diverso avviso, loro che credono magari al peggio che si dice in giro di noi. Se vogliamo consolarci, notiamo che pure Venezia è stata esclusa. Non si vive di sola capitale europea. Magari sarà più utile provare a vivere in qualche modo, visto che migliaia di abitanti del cratere non ci riescono. Niente si fa a pancia vuota: né cultura, né rivoluzioni, né altro. Si crepa, e noi ci siamo vicini.
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