Arcigay ricorda Emanuela Di Cesare
L’Aquila – Riceviamo da Arcigay Massimo Consoli L’Aquila – Il Segretario – Leonardo Dongiovanni – e tutti i circoli Arcigay d’Abruzzo: “I circoli Arcigay abruzzesi, il giorno Mercoledì 20 Novembre in un’azione congiunta, in occasione del “Transgender Day of Remembrance” commemoreranno Emanuela Di Cesare (foto)sulla sua tomba nel cimitero di Tornimparte (Pie’ la Villa) alle ore 15:00, per poi spostarsi su Pescara (Piazza Sacro Cuore),da dove alle ore 18:00 partirà una fiaccolata per ricordare tutte le vittime della transfobia.
Dove c’è violenza non può esserci silenzio e se la violenza è efferata, allora si ha il dovere di combatterla.
Emanuela Di Cesare aveva 37 anni e fu uccisa il 23 Aprile del 2007 a Pescara. Era una transessuale, e poco importerebbe citare questo dettaglio se non ci trovassimo ancora nella condizione di doverlo ritenere rilevante. Emanuela non fu semplicemente uccisa, perché per un essere umano rinvenuto con il cranio sfondato nella sua abitazione satura di gas (un artificio dei suoi aguzzini che voleva maldestramente inscenare un tragico incidente) il termine “uccisione” è ingiustamente riduttivo: qui si deve parlare senza mezzi termini di una barbarie, di un massacro.
Ad appesantire il carico in quel periodo si impegnarono anche le testate giornalistiche che circa il luogo della sua sepoltura (tra le tante cose) in data 26 Aprile scrivevano tendenziosi: -Emanuela, che faceva la prostituta a Pescara, aveva conservato dei legami con il paese di origine, nonostante le amarezze inflittele da intolleranze e incomprensioni, sia a Tornimparte, sia a L’Aquila, dove sicuramente conservava conoscenze e collezionava anche clienti-.
L’attivista Mirella Izzo, in una sua lettera aperta scriverà ad Emanuela: -Ti hanno uccisa tre volte-, con chiari riferimenti ora all’intolleranza della gente, ora agli esecutori materiali del fatto, ora alla stampa, perché questi tre diavoli sono legati da un inequivocabile filo rosso: quello dell’intolleranza.
Nessun giornale (per quanto mediocre) avrebbe mai speculato a questi livelli sul colore di capelli o sulle abitudini del genitore di una triste vittima della cronaca nera, ma in questo caso sì: Emanuela in quanto transessuale lo stigma doveva portarselo dietro a prescindere, nessuno si sarebbe comunque opposto a ciò.
“Uccisa una transessuale”, quasi a dire che comunque, in fondo, in quei loschi ambienti di meretricio e di perversioni, una un po’ se la va a cercare. E poco importa chi fosse la clientela (uomini sposati, forze dell’ordine, maschi “tutto d’un pezzo”), anzi, se hai messo a tacere una reietta che potrebbe sapere troppo e distruggere il tuo velo di “sacra famiglia”, la società quasi ti offre un’attenuante, se non una scusante.
Di Emanuele sparse per l’Italia e per il mondo ce ne sono molte, troppe e nessuno parlandone si concentra sull’elemento fondamentale delle loro scelte di vita “oltre la transizione”: l’integrazione. Nessuno prenderebbe a lavorare nella sua boutique o nel suo salumificio una transessuale in quanto simbolo di perversione e di sessualità deviata irreversibilmente. Allora pur di tirare a campare una poveraccia qualsiasi sceglie il marciapiede, con tutti i rischi che ciò comporta. Lo Stato italiano è assente nella vita di queste persone, la società è assente, ed il circolo vizioso riprende la sua corsa inesorabile.
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