Sotto l’albero della conoscenza pensando all’Irap
L’albero è da sempre simbolo di vita e di protezione, luogo della trasformazione e del rinnovamento, di natura femminile e materna. Si parla di albero della saggezza e della conoscenza quando si è forti di una validazione popolare avuta attraverso le prove di una millenaria presenza nelle diverse culture. Ed io oggi voglio mettermi umilmente sotto un albero di questo genere per capire quello che la mia piccola capacità di discernimento non riesce a capire sul comportamento degli aquilani nella ricostruzione post sisma.
Da anni, ormai, vedo alchimisti aggirarsi dalle parti dell’Aquila ognuno con la propria ricetta magica. Alcuni ci si sono trovati casualmente, altri causalmente, altri sono venuti appena saputo, altri in anonimo ancora girano per capire, altri senza anonimato, con tanto io ma poco se, formulano ricette miracolose, alcuni lo hanno fatto con l’etichetta di saggi istituzionali ed anche con dei compensi, gli ultimi lo fanno come direttori o dirigenti della ricostruzione. Poi i ministri. Nonostante il bipolarismo, ne sono passati due più un super ministro in quattro anni oltre ai commissari ed i vice commissari che inizialmente ne hanno fatto le veci con poteri straordinari. Oggi ci sono i sindaci tanti dei quali sembrano aver fatto tredici al totocalcio mentre i pochi che non hanno fatto tredici non riescono ancora a capacitarsi della realtà. Dei tre premier passati uno girava nei cortei perché era giusto farlo in quel momento ma poi le priorità del paese lo hanno fatto concentrare su cose contingenti e priorità europee. Intorno a ciò, oltre alle prefiche che lo avevano detto ma che non hanno fatto niente per cambiare le cose quando potevano essere cambiate e che ora rivendicano un riconoscimento per dare un senso a quello che hanno detto, tanti fantasmi che hanno lasciato scorrere gli eventi e infine troppo pochi senza nulla da perdere.
Sempre di più vorrei conoscere la disciplina che mi consenta di capire la loro arte ed i loro valori. Perché solo loro potevano trasformare tanta miseria in oro anche se l’oro da tutte le parti è finito tranne che dove è avvenuto il terremoto. Sicuramente sbagliando ho cercato aiuto nello studio dell’illusionismo dal quale qualche insegnamento l’ho appreso e spero mi sia utile in futuro. Vedendomi in uno stato di insofferenza, qualcuno mi ha fatto dei riferimenti al Visio Arislei, un testo appartenente a una raccolta stampata a Basilea alla fine del ‘500, che parla del modo in cui viene piantato un albero preziosissimo che toglie la fame di conoscenza a chi mangia i suoi frutti. Jung ci dice che va piantato in montagna o al mare. Al contrario Sir George Ripley ci dice che l’albero può radicare solo nell’aria e quindi nella Terra Gloriosa del Paradiso. In ogni caso, sotto l’albero della conoscenza tutti gli uomini hanno una certa pulsione di presa di coscienza che spinge ad interrogarsi sul senso del soffrire in determinati contesti e già questo basterebbe.
Ed allora, seduto sotto l’albero per cercare di capire il mio contesto ed abbandonando per un po l’oratorium, mi concentro sul laboratorium dove c’è la realtà ed i numeri su cui far leva per risollevare le nostre sorti individuali e quindi anche le collettive. I rischi anche se i numeri ci fossero sono grandi. Si possono avere cattedrali nel deserto con signorotti che guardando il palazzo nobiliare pensando di essere stati bravi loro piuttosto che dubitare sull’etica dei finanziamenti ricevuti per più di 10 milioni di euro cadauno prima ancora che la città ricostruisse il proprio comune o la propria università. Ma a tanto siamo giunti.
Tanti signorotti con il patrimonio edilizio riparato ed il contesto peggiore di quello di Beirut, dove per lo meno sono abituati, per mancanza di lavoro e di morale. In tal senso, non serve far riferimento a pratiche passate buone o cattive. Le cose si ripetono se dove ciò avviene non c’è una cultura tale ed un senso civico che vede al primo posto il rispetto del prossimo. Le parole pronunciate, dopo 45 anni, dal vescovo della diocesi di Mazara del Vallo, Monsignor Domenico Mogavero, in riferimento alla ricostruzione post terremoto del Belice sono eloquenti: “Adesso si tratta di passare dalla parola ricostruzione alla parola operatività. Se è vero che negli anni immediatamente successivi al disastro sono stati compiuti non pochi errori, soprattutto politici, ai diversi livelli, questo non può costituire una ragione per aspettare giustizia passivamente. E’ assolutamente vero che il domani di questa magnifica ma sfortunata Valle è tutto e solo nelle nostre mani, purché siamo capaci di valorizzare e mettere a frutto le risorse”. Dove non si è presa coscienza di se e del contesto il futuro sembra non arrivare mai. Ed allora se qualcosa si vuol fare per evitare un destino già scritto è necessario incidere ora su quel poco che è rimasto e che non si è ancora assegnato ad altri fini che non siano il territorio dell’Aquila.
Perché insisto sull’etichetta? Perché nei principali eventi sismici, a partire dal 1968, i senzatetto sono stati i seguenti: Friuli Venezia Giulia, 1976, circa 45mila (relativi a circa 137 comuni), Marche e Umbria, 1997, circa 32 mila (relativi a 48 comuni), L’Aquila, 2009, circa 67 mila (relativi a 57 comuni, circa il 70% nel comune dell’Aquila). Nel caso dell’Aquila i danni si sono concentrati all’Aquila e non negli altri 56 comuni.
Purtroppo la politica nei giorni successivi al 6 aprile 2009 decise di essere cinica e ne ha approfittato trasversalmente per fini che esulano la ricostruzione e lo sviluppo del territorio dell’Aquila. La chiave per aprire quella porta fu l’etichetta data al terremoto: terremoto d’Abruzzo. Non è stato difficile fare ciò essendo gli aquilani meno di 70.000 ed i numeri in politica sono più forti dei valori. Ma se i 70.000 aquilani non fossero stati divisi dalle parti politiche della città avrebbero tutti insieme marciato verso l’unico obiettivo storico che si poteva avere e difficilmente, per esempio, si sarebbero destinati per il sostegno delle attività produttive e della ricerca/innovazione, ope legis, nel silenzio parlamentare di destra e sinistra, a valere sulle risorse di cui all’art. 14 comma 1, del D.L. 39/2009 (legge n. 77/2009), 50 milioni di euro per interventi di bonifica dell’ex area industriale di Bussi sul Tirino (DL. 225/2010, articolo 2, comma 3-octies) in provincia di Pescara dove esiste un gravissimo problema di inquinamento ma che non andava risolto a scapito della ricostruzione dell’Aquila dove si sono registrati i danni del terremoto.
Oggi per incidere servono i numeri e le risorse ma nella seduta del 2 agosto 2013 il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) ha approvato la proposta presentata dal Ministro per la Coesione territoriale, Carlo Trigilia, per la ripartizione delle risorse stanziate dal D.L. 43/2013, art. 7 bis (convertito con modificazioni dalla Legge n. 71 del 24 giugno 2013) e destinate alla ricostruzione privata nei territori abruzzesi colpiti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 prevedendo per il Comune dell’Aquila solo 181 milioni all’anno dal 2014 al 2019. Per lo sviluppo economico dell’Abruzzo terremotato da poco è stata pubblicata una delibera CIPE con 100 milioni pre assegnati a determinati settori dove la presenza delle multinazionali è predominante e di cui si aspettano le circolari attuative per esprimere un parere più consono.
Nessun riferimento alle entrate previste dai giochi d’azzardo e nessun possibile trattamento uniforme con quanto sta facendo la Cassa depositi e Prestiti per l’Emilia Romagna con lo stanziamento di 12 miliardi di Euro. Eppure ci furono tempi migliori come quando vennero stanziati ed in gran parte spesi in 3 anni per il terremoto d’Abruzzo ben 10 miliardi e mezzo di Euro. Tanti, tantissimi soldi che se fossero stati utilizzati veramente e seriamente per la ricostruzione dell’Aquila avremmo già oggi una città europea modello con infrastrutture funzionali ad una città medioevale turistica ed universitaria dove la creazione del lavoro sarebbe un qualcosa di naturale e non una forzatura da raggiungere in provetta forse all’interno dei vecchi stabilimenti dell’Ex Italtel con la regia di una politica intrusiva e non capace di limitarsi a creare le condizioni per lo sviluppo imprenditoriale.
Ma non è andata così e per capire se tutto è stato fatto legalmente ci sono istituzioni preposte per costituzione e per legge a fare valutazioni preventive e successive. Almeno lo spero.
Ciò che mi va di mettere in risalto, sempre seduto sotto l’albero della conoscenza, è l’uso che si farà da parte della Regione Abruzzo dalle entrate derivanti dall’Irap, che di certo beneficeranno di un aumento enorme rispetto al passato grazie appunto al meccanismo previsto dall’applicazione della stessa a tutte le ditte, banche ed enti pubblici che hanno lavorato per il terremoto in Abruzzo. Considerando i 10,5 miliardi di euro già stanziati e sicuramente spesi (di certo 6 miliari di euro già spesi come attestato nella relazione finale di ottobre 2012 del commissario Chiodi), il gettito per la Regione Abruzzo derivante dall’Irap sarà pari ad alcune centinaia di milioni di Euro come minimo visto che per ogni soggetto economico che ha beneficiato di entrate lavorando in Abruzzo per l’emergenza e per la ricostruzione si applicheranno le aliquote, che vanno dal 3,9 % al 8,5 % a seconda del tipo di settore, sul valore aggiunto. Gettito che la Regione Abruzzo avrà a disposizione grazie alla grande disgrazia capitata all’Aquila e con il quale potrà ripianare tutti i debiti pregressi e non solo. Ciò perché l’Irap è l’imposta regionale sulle attività produttive ed il gettito dell’Irap è attribuito alle Regioni per coprire prevalentemente le spese dell’assistenza sanitaria. Prevalentemente ma non esclusivamente. Sono tenute al pagamento: le persone fisiche, le società, gli enti che esercitano attività commerciali, le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate esercenti attività di lavoro autonomo, i produttori agricoli, gli enti privati non commerciali, gli enti e le Amministrazioni pubbliche. L’imposta è anche dovuta dai soggetti che non hanno la sede principale in Abruzzo e l’art. 15 del D.Lgs. n. 446/1997 stabilisce che “l’imposta è dovuta alla regione nel cui territorio il valore della produzione netta è realizzato”. Ora considerato che se L’Aquila non si ricostruisce nel suo centro storico e se non ha le infrastrutture utili a renderla una città attraente per le imprese nel giro di 20 anni si ridurrà a ben poco e non si potrà dire che i motivi sono stati la mancanza dei fondi o quel sindaco che non è riuscito a fare squadra ed a fare un piano strategico su cui far tendere tutta la popolazione, ma il motivo farà diretto riferimento a tutto il sistema politico ed in particolare a chi ha formulato le prime normative con tutti i suoi errori di etichette e di obiettivi da perseguire. Allora siccome l’Abruzzo senza L’Aquila non è l’Abruzzo, considerato che gli abruzzesi vogliono riavere L’Aquila, la Regione Abruzzo, nonostante gli aquilani sono solo 70.000 rispetto ad un totale di abruzzesi superiore a 1 milione, dovrà mettere da parte un po i numeri degli elettori e riconsiderare i valori della propria cultura destinando quota parte del gettito derivante dall’Irap direttamente riconducibile all’extra gettito rispetto al 2009 alla ricostruzione economica e sociale della città dell’Aquila. Diversamente potremmo dire di aver avuto dei pavidi ragionieri al timone che hanno fatto il compitino ed a tutto hanno pensato mentre presenziavano alle sfilate ed alle cene con i potenti del mondo tranne che al bene degli aquilani.
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