Federico Palmerini, il diacono
Paganica – (di Domenico Logozzo) – (Foto da Assergi racconta) – La Chiesa dà un nuovo segnale di fiducia e rafforza le speranze di rinascita dell’Aquilano, dopo il dramma di oltre 300 morti. Giovani energie e buoni sentimenti al servizio della collettività. Dalle lacrime per il disastroso terremoto del 6 aprile 2009, alla giornata di festa collettiva per l’ordinazione diaconale di un giovane di Paganica, Federico Palmerini.
La ripartenza nella nuova Chiesa degli Angeli Custodi. E’ una moderna struttura in legno realizzata non molto distante dall’abitato. Sostituisce il vecchio edificio di culto, nel centro storico, che è stato irrimediabilmente danneggiato dal sisma. L’immensa folla, la grande commozione, l’applauso scrosciante dopo l’ordinazione, le parole del giovane figlio di Paganica che ha scelto di “amare l’amore” e mettersi in viaggio al fianco di chi ha bisogno, sono fatti positivi che inducono alla speranza e all’ottimismo. Papa Francesco questo clima sta creando. Con il convincente esempio quotidiano.
Federico durante la cerimonia ha dimostrato di avere appreso abbastanza bene le lezioni del Papa che parla al cuore della gente, che si fa amare, che soprattutto i bambini amano. Come fosse uno di famiglia. E l’abbiamo visto durante le celebrazioni della “giornata della famiglia”, quando un ragazzino di sette anni si è avvicinato al Papa, gli ha stretto le gambe, ha toccato il microfono, baciato la croce e si è messo a giocare sul sagrato, comportandosi anche da “monello”. Immagini che hanno fatto il giro del mondo. A sette anni Federico Palmerini era già un chierichetto scrupoloso. Aveva come appuntamento importante della giornata, cui cercava di non mancare, la celebrazione eucaristica in parrocchia. E il padre lo accompagnava in macchina. Federico è cresciuto in una famiglia dove il bene comune è la regola di tutti i giorni. Darsi con generosità agli altri. Goffredo Palmerini, per anni vicesindaco dell’Aquila, è da sempre impegnato in attività di promozione sociale, economica e culturale anche all’estero. L’ ”ambasciatore dell’Abruzzo” nel mondo dell’emigrazione italiana. L’arcivescovo mons. Giuseppe Petrocchi, ha ringraziato “i genitori Goffredo e Anna, che attraverso il loro sì nel matrimonio hanno permesso il successivo sì di Federico”. E rivolto al giovane: ”Il sì che ti ha educato alla fede”.
Ma come è avvenuta questa “educazione alla fede”? Il padre Goffredo ricorda la tradizione della famiglia e spiega: ”Non siamo mai stati particolarmente legati alle manifestazioni esteriori, alle ritualità, alle abitudini. Anche nel vivere la nostra fede. In modo semplice e naturale, mia moglie Anna ed io, abbiamo cercato di dare testimonianze di vita dedicate agli altri, pur con tutti i nostri limiti. I nostri figli sono cresciuti in un ambiente familiare dove il dovere precede il diritto, dove il fare precede il parlare. E dove ciascuno, in un‘etica della responsabilità non dichiarata ma vissuta, ha potuto scegliere la sua strada in piena libertà. E Federico ha potuto vivere la ricerca della sua dimensione umana, sociale e spirituale in pienezza di responsabilità e libertà, sapendo già che quanto egli avesse deciso, sarebbe stato dai suoi genitori apprezzato e rispettato. Compresa la vocazione, intervenuta a vent’anni, egli studente universitario nella facoltà di Giurisprudenza a Teramo, mentre si preparava l’esame di diritto privato. Abbiamo accolto la sua decisione d’entrare in seminario sapendo che era una scelta sicuramente meditata, ed era libero di scegliere la sua vita. Ancor di più l’apprezziamo oggi, considerando una grazia la sua vocazione di dedicare integralmente la sua vita al Signore e al prossimo”. Ma ritorniamo a Federico.
Nel tuo intervento, hai ricordato anche il sostegno che hai avuto dal tuo parroco nel decidere di diventare sacerdote. C’è stato un episodio particolare che ti ha convinto che stavi facendo la cosa migliore?
L’accompagnamento da parte di don Dante Di Nardo, mio parroco per sedici anni, è stato costante e attento nelle varie fasi della mia crescita umana e spirituale. Quando, a fine settembre 2007, ho avuto la profonda intuizione interiore che il Signore mi stava chiamando a intraprendere il cammino di formazione in seminario, in quel momento è stato fondamentale l’aiuto e l’occhio sapiente di don Dante, del cui parere e consiglio mi sono fidato pienamente. Mi sono abbandonato con fiducia, consapevole che chi mi stava accompagnando nel cammino mi conosceva bene e non voleva altro che la mia gioia.
La tua decisione si concretizza in un momento in cui c’è una forte crisi di vocazioni. In Abruzzo in due giorni si sono avute due ordinazioni. Sabato la tua e domenica un’altra a Celano. Vuol dire che è in atto la rinascita dei seminari?
Bisogna dire che quando si parla di crisi di vocazioni si può dire tutto e dire niente. Se la questione è il numero delle vocazioni, allora effettivamente si può parlare di un calo, che si rivela però anche fisiologico in una società sempre con meno figli e con un cristianesimo che è sempre meno di tradizione e sempre più di scelta personale. Se si prende in considerazione la qualità delle vocazioni, allora forse il percorso di discernimento e di formazione che oggi viene richiesto nei seminari lo si può ritenere migliore che in passato. Non significa che i preti di una volta fossero da meno di quelli attuali, anzi, avevano una solidità e capacità di donazione che spesso oggi manca. Perciò, io non parlerei di crisi, se teniamo conto del contesto diverso rispetto al passato. Sono del parere che ovunque si semini con coraggio il Vangelo, facendo proposte di fede e di vita alte, si ha l’habitat giusto perché i semi di vocazione che il Signore sparge a piene mani giungano a maturazione.
Siamo in un’epoca in cui il mondo giovanile è dominato dall’individualismo, dall’arrivismo, dall’arricchimento facile. Tu hai conosciuto realtà molto difficili. Hai parlato durante la cerimonia dell’esperienza vissuta nel carcere di Pescara. La tua fede si sarà certamente irrobustita.
Nel carcere di Pescara, dove ho fatto per due anni esperienza di catechesi, ho potuto toccare con mano quelle diverse povertà, non solo economiche, di cui l’Arcivescovo ha parlato nell’omelia della mia ordinazione. C’è sempre una povertà dietro un reato, fosse anche l’incapacità di perdonare, che porta alla vendetta. La mia fede si è trovata messa a nudo: stando con i detenuti e cercando di fargli incontrare da vicino la persona di Gesù, mi sono accorto che qualunque sovrastruttura sarebbe stata smontata. Quei fratelli in difficoltà avevano un solo desiderio: capire se Gesù era qualcuno di cui potersi davvero fidare o no. Non volevano sapere cose su di Lui, volevano incontrarlo. Questo, io e coloro con cui ho condiviso l’esperienza di catechesi, abbiamo cercato di fare nel carcere di Pescara.
Hai espresso il desiderio di poter prestare la tua opera pastorale all’estero, tra i popoli che soffrono maggiormente la povertà e che hanno bisogno di aiuti concreti. Intanto rimarrai nella tua terra, a Pettino, prima dell’ordinazione sacerdotale che avverrà fra un anno. Una terra che ha tanto bisogno del sostegno di giovani come te, attivi e propositivi, per cancellare le ferite dopo il drammatico terremoto.
Ho detto che non escludo in futuro un’esperienza di missione, anche se solo temporanea, ma questa è cosa da affidare alla Provvidenza e al discernimento insieme all’Arcivescovo. Andrò dove ci sarà bisogno, d’altronde sabato scorso sono stato ordinato “servo”! Ora svolgerò il mio ministero a Pettino, insieme al parroco, don Dante, e al viceparroco, don Pino. Il lavoro sarà fare in modo che, attraverso l’annuncio del Vangelo, i sacramenti e la vita fraterna della comunità parrocchiale la fede sia sorgente di speranza e di fiducia nel futuro. Pian piano le ferite potranno cicatrizzarsi, se ci si lascia guarire nel profondo dal Signore, che è capace di trasformare ogni morte in opportunità di vita nuova.
“Il fine giusto è dedicarsi al prossimo”, diceva don Lorenzo Milani. Parole che sono oggi di grandissima attualità. E questo è emerso chiaramente durante la cerimonia per il diaconato, una “festa popolare” dove tutta la famiglia Palmerini ha sentito intorno a sé il grande calore umano della gente di Paganica, che in Federico vede il segno concreto della ripartenza!
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