L’Aquila-BPER, la buona poesia
L’Aquila – (di Liliana Biondi*) – IL PREMIO CRESCE E RINGIOVANISCE –
Si avvicendano nel tempo Enti ed Istituzioni, e il Premio Letterario Internazionale di Poesia L’Aquila- BPER, intitolato alla nota scrittrice aquilana Laudomia Bonanni e giunto alla XII edizione, cresce, vorrei dire ringiovanisce, in qualità e bellezza. Una fiducia ben ripagata, quest’anno, alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna (recentemente subentrata alla tradizionale Carispaq) , la quale, confidando sulla qualità del Premio, lo ha generosamente finanziato e ne ha assunto titolazione e presidenza nella persona del Presidente del Comitato territoriale L’Aquila della Bper, Raffaele Marola; alla Presidente della Giuria, senatrice Stefania Pezzopane, fondatrice e anima del Premio; alla Giuria, che conta prestigiose personalità della cultura, le quali, diversamente e scrupolosamente operano all’interno delle quattro sezioni del Premio: due sezioni riservate a poesie inedite, che vedono protagonisti, rispettivamente, i detenuti delle carceri italiane e gli studenti delle scuole secondarie della Provincia dell’Aquila; due sezioni per opera edita: una riservata ad un’opera prima, ed una, sezione per eccellenza, riservata a tre opere di poeti affermati. Qualche giorno prima della manifestazione finale, sono ancora alcuni tra i migliori studenti delle scuole secondarie della provincia a determinare, nella terna, il vincitore assoluto, il cui nome verrà svelato durante la cerimonia di premiazione. Il concentrato e profondo Città alla fine del mondo (Jaca Book, Milano 2013) di Tiziano Broggiato; il riflessivo e ingegnoso Poesie con qualcuno dentro (nino aragno editore, Torino 2012) di Ennio Cavalli, l’antiretorico ed eterogeneo Inizio Fine (Crocetti Editore,Milano 2013) di Daniele Piccini costituiscono l’ottima terna di quest’anno.
Ma questo Premio ha un altro grande pregio: quello di presentare alla Città ogni anno un ospite d’onore, un poeta di chiara fama mondiale che presiede, nei due intensi giorni del Premio, le tre cerimonie di premiazione: dei detenuti (nel Carcere “Costarelle” di Preturo), delle scuole (quest’anno, nel Liceo classico “Cotugno”) e quella conclusiva, della terna (Ridotto del Teatro) cui è invitata a partecipare l’intera cittadinanza.
Quest’anno sono il venerando Franco Loi, prestigioso poeta in dialetto milanese da oltre quarant’anni, e il poeta filologo greco di Drama Nasos Vaghenàs gli Ospiti d’Onore del Premio L’Aquila-BPER.
Se la lingua è una qualità e un codice esclusivamente umani, il dialetto è un patrimonio di ogni luogo del mondo. Ma il dialetto milanese di Franco Loi -“genovese” impiantato a Milano dall’età di sette anni, poeta “non laureato” per dirla con Montale, ma versatile oltre misura- è reale e personalissimo insieme. Fin da quando era impiegato contabile nei porti, negli scali, giovane comunista frequentatore di mense, osterie, sedi di partito, ascoltatore appassionato e onnivoro, Franco Loi si è nutrito del dialetto dei tanti milanesi di adozione provenienti da ogni parte d’Italia. Il suo dialetto è così frutto di una koinè oltremodo originale e creativa, un vero dialetto d’arte, il suo, che, nell’ordine di uno scrupoloso ritmo metrico, attinge al quotidiano, alla vita reale e volubile, tanto dinamici e variegati sono i motivi della sua poesia. Poesia della memoria, del ricordo, della guerra, della sofferenza, della denuncia è quella che domina la prima produzione. Poi, il suo canto, che ha buon sapore di vita vissuta, assume come protagoniste sempre più la donna, vista -novello Neruda- con i suoi tanti talenti (“Sí, mí le dònn, el cör, quel delecȃ / che par respira, l’umbra, i lavar frègg… /Me piȃs fina quel nient che dent te resta / quan’ che te bràscen e pö te trann luntan”.” Sì, io delle donne, il cuore, quel delicato/ che sembra respirare, l’ombra, le labbra fredde…/ mi piace perfino quel niente che ti rimane / quando ti abbracciano e poi ti respingono lontano”), e la sua Milano, sempre dinamica, nel bene e nel male, colta negli angoli più impensati e nascosti, nelle situazioni più disparate, in ogni ora del giorno e della notte: “Mia nȇv de via Teodosio, nȇv de via Wildt/ due in fund se pèrd el trenu e mí me par / che mai quel bianch del sû desfarà” (“Mia neve di via Teodosio, neve di via Wildt / dove in fondo si perde il treno e a me sembra / che mai quel bianco del sole si disferà”). E come ogni poesia che respira di vita vissuta, quella di Loi è poesia popolare e lirica insieme. Ma, alla bestemmia, alla parolaccia, alla rabbia, alla denuncia, che caratterizzano la iniziale produzione dei primi anni Settanta, fa gradualmente da contraltare una progressiva tendenza alla spiritualità, al sacro, direi al religioso: “Se mí te pensi, Diu, me vègn la vita, / se mí te senti, la vita l’è den’ mí…” (“Se io ti penso, Dio, mi viene la vita,/ se io ti sento, la vita è dentro di me”). Ma una religiosità leggera traspira sempre nella sua poesia, attraverso l’aria, leitmotiv costantemente percepibile nei suoi versi, elemento vitale con cui il poeta s’identifica: “e seri lí che me scurdavi a l’aria,/ e l’aria me cercava, e l’era mí…/ [….]e mí piasevi ai stèll sura de mí” (“Ed ero lì che mi nascondevo all’aria, / e l’aria mi cercava, ed ero io… /[…] e io piacevo alle stelle sopra di me”).
Fecondo poeta che ha i propri prodromi nella “generazione degli anni ’70”, come Franco Loi, è anche il greco Nasos Vaghenàs, il primo, in Grecia, se non l’unico, a voler restituire tuttavia, in questi ultimi anni, l’armonia del metro in poesia. Due sono le sue sillogi tradotte in Italiano ed edite presso Crocetti Editore: Vagabondaggi un non viaggiatore (1997, traduzione e introduzione di Caterina Carpinato) e Ballate oscure (2001 e 2006). Ottima, qui la traduzione creativa di Filippomaria Pontani, che da buon filologo, come l’autore, restituisce significato e rima al gioco delle parole: “… rabbrividisco e vedo innanzi Iago./ mi dico: lega i giambi con lo spago.// Le poesie sono fiori molto esili / nutriti dalla cònsona tristezza. / E l’ira, se li accumula, li spezza”. Poesia, per questo, spesso gioiosa, ironica e parodica, ma non meno seria, che trae estro da miti e nomi della cultura classica europea. Buon filologo e critico, il poeta, colto, paragona tra il serio e il faceto, il mondo sociale di oggi con quello di ieri, un mondo, nell’essenza non poi così diverso: “Noi siamo un niente. Siamo degli zeri. / Ci vince il tempo, oggi come ieri” . Ancora una volta a salvare l’uomo è l’arte, la poesia.
E la cerimonia di premiazione, venerdì pomeriggio alle 17.00, sono certa, sarà un vero festival della buona poesia, un godimento dell’anima per i presenti, con dibattiti e poesie dei tre ottimi artisti premiati, dei due eccellenti poeti ospiti, con tre illustri venerandi giurati: la poetessa Maria Luisa Spaziani, il giornalista-poeta Sergio Zavoli, il critico Giorgio Barberi Squarotti. La recita delle poesie sarà affidata ai bravi attori Eva Martelli e Bartolomeo Giusti. A concertare così bella manifestazione, il brillante giornalista RAI Andrea Fusco.
*Docente di Critica letteraria e Componente della Giuria
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