Come aggrapparsi ai rovi


Da ragazzini, chi scrive e un suo coetaneo scorrazzavano un pomeriggio lungo le erte balze dell’orrido (splendido) burrone fluviale sotto il ponte di Caramanico Terme. Chi lo ha visto sa quanto è imponente e pauroso.
A noi capitò di scivolare sul terriccio e di precipitare – riuscendo ad afferrare solo una radice con la sinistra – per un paio di metri verso il baratro. Sarebbe stata morte certa, visto che il luogo è di una rara pericolosità per due minorenni incoscienti. Le gambe quasi penzolavano sul vuoto annebbiato dall’acqua vaporizzata del turbolento torrente che corre tra rocce e vegetazione verde scuro, quasi 100 metri più in basso.
Urla, paura, richieste di aiuto. Il nostro amico rimase impietrito dalla paura e dal timore di poter scivolare anche lui. “Aiuto, corri, prendi, tira, strappa…”. Inutile. Furono solo due o tre minuti. Per non morire, ci aggrappammo con la destra disperatamente ad alcuni rami di rovo. Gli aculei trafissero le mani e le dita, alcuni fino all’osso, un dolore straziante, ma anche la salvezza. L’altro ragazzo, finalmente sbloccatosi, con un lungo bastone di nocciolo che aveva con sé ci offrì appiglio e riuscimmo a non entrare nel numero delle vittime del burrone.
Tutto ciò ci ricorda L’Aquila terremotata che chiede risorse al governo, chiede di poter vivere. Semplicemente. Con i piedi penzolanti sul burrone e la mano sinistra ormai sfinita, che sta per mollare.



14 Ottobre 2013

Gianfranco Colacito  -  Direttore InAbruzzo.com - giancolacito@yahoo.it

Categoria : Editoriale
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