Rainaldi su caso Costa, ora esigiamo
L’Aquila – Scrive Ezio Rainaldi delegato ricostruzione Confindustria: “Il concordato preventivo di Costa segue i casi Stade e Mazzi: è l’ennesima riprova che dobbiamo intervenire d’urgenza e con regole precise, che sottraggano il territorio alla disperazione di gente più disperata di noi: lo abbiamo detto da sempre ma siamo stati additati come campanilisti. Adesso lo esigiamo.
Su quali potrebbero essere le regole non dobbiamo ragionare tanto, sarebbe sufficiente stabilire un tetto di commesse oltre il quale ciascuna azienda non può andare, a prescindere dal fatturato. L’errore è stato proprio assegnare lavori a chi esibiva grandi fatturati: forse sfugge a qualcuno che il fatturato non è sinonimo di solidità e di liquidità, e men che meno di serietà professionale? ebbene in forza di questa logica perversa è accaduto che le grandi imprese che sono venute all’Aquila hanno preso per il naso anche le banche, e poi, a cascata, fornitori, piccole imprese in subappalto, condomini, la Città intera. Altro che camorra, le prime da tenere sott’occhio sono proprio la logica comune e le regole classiche
Ecco, dunque non di campanilismo trattasi ma di protezione del territorio, che significa non sole evitare danni allo stesso ma addirittura gettare le premesse per una crescita da parte di chi ha garantito serietà e solidità negli anni: le PMI, dunque dalle piccolissime alle medie, hanno l’occasione di fare un salto epocale consorziandosi, generando dunque impresa di nuova generazione e catena del valore..
Le aziende che si sono “squagliate” dopo aver acquisito i cantieri o dopo averli portati a termine consegnando case più rovinose di quelle terremotate (che adesso i cittadini si trovano a dover ristrutturare di tasca propria: tanto valeva averlo fatto 4 anni fa e non essere stati sfollati fino ad oggi) sono venute qui già in sofferenza e pensavano di risanarsi con i cantieri del sisma: è legittimo, ma perché non decidere di ridurre il rischio lavorando con le imprese del territorio? Tra noi ci conosciamo tutti, le banche stesse ci conoscono e certo non le incantiamo con uno scatolone di fatture: ecco, questo è il valore che esprime il territorio. E non si chiama campanilismo, si chiama conoscenza, padronanza, appartenenza.
Ma v’è di più, perché non solo abbiamo tolto lavoro alle imprese aquilane ma abbiamo pure impedito a quelle in crisi di puntare sul sisma preferendo dare questa opportunità ad emeriti sconosciuti che poi non abbiamo più riacciuffato, con tutti i danni che conseguono. Questo si che si chiama fare affari.
Ora, senza demonizzare le grandi imprese che vengono da fuori regione, dobbiamo tenere ferma una graduatoria nella quale la provincia è al primo posto, e l’Abruzzo al secondo. La situazione di oggi rievoca un po’ il vecchio Obiettivo 1: soldi pubblici, tanti, finiti i quali le grandi aziende piovute qui se ne sono tornate da dove erano venute e niente è rimasto sul territorio. Vogliamo fare il bis o vogliamo credere che vent’anni sono serviti per una crescita della società civile e di quella imprenditoriale?
Allora, la regola del tetto alle commesse e della preferenza per le aziende del territorio raggiungono i seguenti obiettivi:
- ridistribuiscono il lavoro su tutti, grandi e piccoli, con un principio inclusivo
- non condannano la collettività alla tragedia di uno: il fallimento di un’azienda con mille addetti è una tragedia, se gli addetti sono 100 la situazione cambia
- ci proteggono dalle imprese in crisi perché sia i committenti (condomini) che le banche conoscono la situazione di ciascuna impresa
- nascita di consorzi tra piccoli, piccolissimi e medi che generano e rigenerano valore presente e futuro per L’Aquila
Insomma parametri/requisiti come territorialità, consolidamento e posizione finanziaria proteggono il territorio e Noi le esigiamo. Subito”.
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