Porta Barete, la punta dell’iceberg


L’Aquila – (di Pierluigi Properzi – Domani L’Aquila) – (Immagine da collemagico.it: come eravamo) – Ogni volta che la Ricostruzione (il processo di) arriva ad un punto significativo del tessuto urbano sul quale nel tempo, anche prima del terremoto, si sono stratificati interventi o problemi, si scatenano sui quotidiani i partiti del si e del no.
Tutto questo va bene, fa parte del posizionamento necessario nel dibattito politico e culturale e ricomprende i protagonismi dei singoli ma anche la costruzione di forme di conoscenza condivisa particolarmente carenti nel processo di Ricostruzione.
Il punto che ritengo più significativo non è comunque quello di essere favorevoli o contrari alla “riapertura di porta Barete” quanto quello di superare l’empasse nel quale l’Amministrazione si è invischiata dopo la approvazione di un inutile Piano di Ricostruzione e di un ancora più inutile cronoprogramma che non gli consentono di decidere alcunché in merito alle questioni più importanti e non consentono ai cittadini neanche di sapere se la propria casa è ”incongrua”, da demolire e eventualmente da ricostruire altrove, se gli edifici di otto piani sovrastanti le mura saranno ricostruiti dove erano e come erano in barba ai vincoli paesaggistici e al rispetto del pomerio, se gli uffici, le scuole, i negozi torneranno in centro o no .
Non si può pensare di fare una buona ricostruzione senza un vero piano senza l’individuazione di aree di particolare complessità (via XX settembre – S. Pietro) dove avviare una progettazione urbana o interventi di land art (scarpata di belvedere – parco della memoria) senza una scelta di aree dove eventualmente spostare alcuni edifici.
Non abbiamo un Piano di Ricostruzione prescrittivo solo perché un giurista (un avvocato amministrativista) ha detto a Cialente che ci sarebbero stati molti ricorsi dei privati (ma va?)e alcuni noti urbanisti hanno sentenziato che un piano anche se elaborato da un comune per motivi di pubblica utilità non può avere effetti regolativi ma solo programmatici. Ma allora non si chiamerebbe Piano e non se ne capirebbe la necessità per la Ricostruzione.
Senza Piano non si ricostruisce una città, non è giusto che oltre ai danni si debba subire anche la beffa di un Sindaco che nel proprio programma di mandato ha affermato che avrebbe approvato la Variante di salvaguardia entro il dicembre 2012 (sic) che avrebbe presentato il PRG entro il giugno 2013 e che ancora non fa nulla. La Maggioranza e l’Assessore rinviano sine die le riunioni esplicitamente programmate per la costruzione di un documento unitario sul PRG mentre fanno finta di non aver letto l’Intesa e il Regolamento dell’Ufficio Speciale che stabiliscano in termini non argomentabili che:
1) La Ricostruzione (scelte strategiche, priorità, autorizzazioni, pareri di conformità sugli atti del comune) è in testa all’Ufficio Speciale;
2) L’Ufficio Speciale ha tra i propri compiti : “la collaborazione con il comune dell’Aquila nella promozione, pianificazione e sviluppo strategico (art. 2 lett. d ‘Intesa e art. 3 lett.d –e Intesa), collabora con gli altri uffici del Comune dell’Aquila e delle amministrazioni competenti alla definizione dei piani e al coordinamento degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo del territorio; effettua la verifica del piano di ricostruzione dell’intero centro storico del Comune dell’Aquila negli aspetti tecnicie finanziari e ne attesta la congruità economica”.
Si tratta di affrontare l’intero problema in Consiglio comunale elaborando un Protocollo di governance che lo stesso Aielli ha peraltro dichiarato di voler costruire insieme. Una diversa posizione,lo scontro sui ruoli e sulle scelte che sembra profilarsi vedrebbe soccombenti i nostri e la città ulteriormente penalizzata in quanto Aielli risponde in primis al Ministro.
Per tornare a Porta Barete, meno improvvisazioni, meno protagonismi più analisi (archeologhe e storiche) e procedure chiare e di evidenza pubblica.
Nessuno sa se Porta Barete c’è ancora, anche perché una porta rimasta a fianco del cavalcavia è visibile in tutta la sua evidenza.
La iconografia esistente (le piante assonometriche) sono poco documentali in quanto utilizzano simboli e grafici eseguiti da incisori che tendevano all’omogeneizzazione e non sono pertanto attendibili nel dettaglio architettonico.
La opportunità che Monsignor Antonini ha coraggiosamente proposto di cogliere l’occasione del terremoto per “restaurare” la città storica in una logica estetico-urbanistica si scontra con la sovrapposizione dell’adeguamento della pendenza di via Roma che è un fatto storicizzato e che non può essere cancellato per un ripristino sicuramente importante ma comunque da valutare con prudenza in sede disciplinare.
Sono i temi del diradamento e della densificazione che meriterebbero un dibattito ben più ampio e che invece l’Amministrazione intende risolvere con la politica del caso per caso in una tradizione ormai consolidata è approvata con il voto dalla cittadinanza.
Per questa come per altre zone la 2° Commissione su mio invito discuterà il 25 prossimo un criterio generale per avviare ambiti di Progettazione Urbana attraverso forme concorsuali di evidenza pubblica.
Quello che si deve fare per non sostituire un approccio retorico con un altro, è sicuramente in grado di “porre bene i problemi” che il progetto Urbano dovrà risolvere e a questo possono essere chiamate a collaborare l’Università, l’Accademia B.B.A.A. gli Ordini.
Progetti Urbani e Nuovo Piano possono andare in Parallelo e reciprocamente integrarsi, ma a questo serve una cultura del piano e una cultura della città che mi sembrano latitare.


20 Settembre 2013

Categoria : Cronaca
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