L’ultimo trauma della guerra
Pescara – 31 AGOSTO 1943, IL BOMBARDAMENTO – Da “La grande Storia – Pescara Castellamare dalle origini al xx secolo” di Licio Di Biase. (FOTOGRAFIE COLLEZIONE BRUNO SULLI) –
“Dal 1940, dopo che il 10 giugno Mussolini aveva fatto la dichiarazione di guerra, alla metà del 1943 la città ebbe un impatto solo indiretto con la guerra. Vi era l’illusione, soprattutto dopo l’armistizio dell’8 settembre, di essere usciti dal conflitto senza traumi. Ma non fu così.
Già il 31 agosto 1943 giunsero nel primo pomeriggio i bombardieri della aviazione americana, i liberators.
Non c’erano aerei a protezione della città, pur essendoci l’aeroporto dal 1928:
Dopo due giorni venne fatta l’analisi del bombardamento sulla base delle fotografie scattate durante l’incursione. Fu stilata una relazione sui risultati conseguiti e venne inoltre disegnata una mappa sulla quale furono riportati, per numero e posizione, i colpi inferti alla città. Ecco cosa scrissero gli esperti dell’aviazione americana:
“Le fotografie rivelano che dense nuvole di fumo si sono subito sviluppate durante l’attacco, oscurando l’obiettivo e gran parte dell’area cittadina, con il risultato che solo il 25% del numero complessivo delle esplosioni poteva essere rilevato:
a) una concentrazione di bombe è caduta su materiale rotabile e le linee ferroviarie entro la zona dell’obiettivo; a causa della presenza di considerevole quantità di fumo, solo circa 30 esplosioni possono essere appuntate sull’apposita mappa di rilevamento delle bombe;
b) si vedono parecchie esplosioni sulla stazione ferroviaria e intorno alla rimessa locomotive. L’intera linea da Ancona a Foggia e Sulmona ha ricevuto colpi diretti andati a segno;
c) sono visibili tra il materiale rotabile e nelle vicinanze della rimessa locomotive due grandi incendi che emettono molto fumo nero. Si vede una esplosione sulla parte sud-est della stazione di smistamento;
d) numerose esplosioni sono visibili entro l’area cittadina fino a est della stazione di smistamento e nella campagna a ovest;
e) 4 esplosioni sul fiume Pescara a est del ponte ferroviario
(da “Pescara nella bufera” di A. Bertillo e D. Franco)
In tre ondate successive gli aerei colpirono costruzioni private e pubbliche, da Piazza Salotto fino a via Fabrizi, via Firenze, via Ancona e a Corso Vittorio Emanuele.
Il Palazzo del Governo venne parzialmente danneggiato. La stazione, che era il vero obiettivo dell’incursione, non venne granché colpita; le bombe, invece, fecero strage nel vicino e affollatissimo albergo “Leon d’oro” e subì danni anche il Palazzo delle Poste e la zona di via Salaria, alle spalle della stazione, dove vennero colpite alcune abitazioni private.
Il numero esatto delle vittime non fu mai del tutto accertato. Secondo talune fonti furono 1800, secondo altre 1600, per altre 900 morti e un migliaio di feriti.
Ma non finì. Dopo alcuni giorni, ci fu un secondo bombardamento, martedì 14 settembre, e poi altri, e questi, dopo l’illusione dovuta all’armistizio dell’8 settembre, crearono forti turbamenti:
Le motivazioni e i risultati dei bombardamenti americani del 14, 17, 18 e 20 settembre 1943 vengono sintetizzati in poche righe dallo storiografo del 376° Gruppo Bombardieri: “A circa mezza via tra Foggia ed Ancona, lungo la ferrovia che costeggia la costa orientale dell’Italia, c’era l’importante centro ferroviario di Pescara, che avevamo bombardato la prima volta il 31 agosto. I danni arrecati alle linee ferroviarie in quella occasione erano stati riparati, anche se niente poteva porre rimedio alla perdita di depositi e munizioni che avevamo distrutto. Il servizio segreto fu informato che la linea era stata di nuovo aperta e truppe trasportate, munizioni e rifornimenti venivano destinati per la difesa dell’Italia meridionale. Con inizio il 14 settembre e terminando qualche giorno più tardi, con le nostre bombe ad alto potenziale esplosivo e incendiario, distruggemmo così completamente magazzini, scali merci, officine di riparazione, depositi di rifornimenti, che non ci fu bisogno di ritornare (da “Pescara nella bufera” di A. Bertillo e D. Franco)
Anche questa volta i bombardieri giunsero dal mare. Fu colpita pesantemente anche Porta Nuova, ma ne uscirono indenni San Cetteo e la casa di Gabriele D’Annunzio.
Si parlò di 600 morti certi solo alla stazione centrale, molti dei quali forestieri di passaggio, dove sembra si fosse riversata una grande folla intenta a vuotare uno dei tanti convogli militari carichi di viveri che, dopo l’armistizio, non giungevano più alla loro destinazione. Questa volta la stazione fu centrata e distrutta e il numero delle vittime pare sia stato di circa duemila
I pescaresi, che solo in parte avevano abbandonato la città per i colli e le campagne, ma vi avevano fatto presto ritorno, ripresero la fuga in massa. I bombardamenti dei giorni seguenti distrussero la chiesa di “San Giacomo” e quella del “Rosario”. Ma questi bombardamenti, se ancora producevano danni, non facevano ormai più vittime, perché la città spettrale cumulo di rovine, secondo un’affermazione di Costantino Felice, era ora quasi deserta. E lo fu maggiormente dal febbraio 1944, quando i tedeschi che la occupavano, temendo sbarchi nemici, ordinarono lo sfollamento generale che tuttavia non fu mai proprio totale:
L’agonia finale venne completata nella tarda primavera del 1944, quando tedeschi e neofascisti in ritirata (nell’ambito della loro tattica che intendeva lasciare “terra bruciata” agli Alleati che avanzavano) minarono le spiagge, fecero esplodere molti edifici pubblici, distrussero il ponte “Littorio” e le strutture portuali. Tali ultime violenze, avrebbero fatto sentire i loro tragici effetti per molto tempo, non solo perché portarono a compimento la rovina cittadina, ma anche perché, per decenni, molte furono le vittime che saltarono in aria calpestando mine inesplose.
Quando dunque l’esercito britannico entrò a Pescara, nel giugno ’44, lo spettacolo dei due tronconi urbani – di nuovo isolati tra loro, come tante volte nella storia, dalla mancanza di un ponte – era spettrale. Se i morti ascendevano a cifre (ipotetiche, ma non lontane dalla verità) intorno alle tremila unità […] le distruzioni materiali furono di assoluto rilievo anche su scala nazionale
(da “Pescara – la città veloce “ di Enzo Fimiani).
Uno specchietto del Genio Civile indicò in 1265 gli edifici completamente distrutti e in 1335 quelli gravemente danneggiati; l’architetto Luigi Piccinato nel piano di ricostruzione, parlò del 69 per cento di fabbricati distrutti”.
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