La diabolica ossessione: appunti e disappunti di un ragazzo che amava il cinema (7)


L’Aquila – In questa puntata dei suoi appunti (che come sapete sono spesso disappunti…) Lucci ci racconta con leggerezza come morì e anche perchè la mitica Città in Cinema, che aveva fatto dell’Aquila una piccola, transeunte ma significativa Hollywood. Anche se solo per pochi giorni. “Mancò la volontà politica”, oppure se preferite “venne a mancare l’accordo politico”: la vera piaga di una città che non seppe spiccare il volo, ed oggi è azzoppata per poter tentare ancora di farlo. Di fronte ad una svolta verso grandi orizzonti, le piccolezze e le meschinerie di una città inguaribilmente provinciale prevalsero.

( di GABRIELE LUCCI) – Angoscia in un esterno giorno. Un piazzale qualsiasi di fronte all’ospedale. Le 4 di pomeriggio per una domenica d’agosto. Qualcuno esce dal supermarket. Qualche busta va e viene. Un sole sfacciato e ottuso insiste sulle tute da ginnastica di poveri cristi in famiglia. Io sono li’ da due ore e non ricordo piu’ perche’. Qualche macchina e un randagio vicino a un bancomat sono il mio scenario di fondo. Bagagliai che si aprono pigramente uno dopo l’altro e poi ancora ancora…una meccanica infinita prima di tornare come diceva Sam Peckinpah nel salotto della morte.
Perche ‘ non prendere anche me insieme alla vostra spesa e portarmi con voi dovunque ma lontano da qui? Una famiglia qualsiasi, un’adozione ravvicinata. Magari avete un cane e io posso accudirlo. Potrei infilarmi nel portabagagli di chiunque. Forse infilerei solo altri problemi. Mi sento come il protagonista del film dei Coen, A serious man. E’ un’angoscia inutile, nessun impulso creativo. Solo un grande vuoto. Aspetto. Prima o poi qualcuno mi raggiungera’ e mi dira’ il motivo per cui sono arrivato qui.
Nell’attesa penso a quante volte il grande nulla mi avesse ingoiato. Ogni volta che qualcosa finiva. Una di quelle volte fu quando il sindaco De Rubeis mi prese da parte e mi disse dispiaciuto: Gabriele, questa e’ l’ultima edizione del festival “Una citta’ in cinema”, non c’e’ piu’ accordo politico. E poco importa se decine di premi Oscar e di film in anteprima mondiale avessero condito belle giornate. Avevo portato l’Aquila nel mondo del cinema e il mondo del cinema all’Aquila.
E vabbe’ un’altra storia si chiudeva. Le avvisaglie gia’ da tempo erano chiare. Eppure quel festival piaceva ai miei concittadini. Patologiche pulsioni autodistruttive, invidiosi desideri di lacaniana memoria e infine una bella dose di misoneismo, che altro non e’ se non una irragionevole avversione-come ci ricorda Jung-verso il nuovo. Mi viene in mente il mitico filosofo Bertrand Russell che piu’ o meno sosteneva questo: se sei giovane vattene dalla tua piccola cittadina dove sei nato e trova rifugio in una metropoli dove incontrerai i tuoi simili e cosi’ eviterai di vivere e di essere visto come un diverso.
Ma io no, quando prendo una cantonata non mi batte nessuno. Eppure stavo per uscirne fuori da quell’incubo quando gli dei si fecero vivi con una proposta della RAI di viale Mazzini. Siamo fine anni 80, inizi 90. Perche’ non organizzare all’Aquila il primo convegno mondiale sull’Alta Definizione? Arrivarono tutte le piu’ importanti televisioni, dalla CBS americana alla giapponese di Stato NHK alle francesi tedesche canadesi, insomma tutte le Majors dell’etere con i loro primi tentativi di girare e trasmettere in HDTV, in pratica quello che oggi vediamo in televisione. Un nuovo modo di produrre immagini per la piu’ grande platea del mondo. Ampio successo mediatico, e adesso?
Cominciava a far capolino l’idea di una scuola, ricordate? Prima di agganciarmi a questa bellissima idea voglio tirare in ballo due tre incontri a margine. Almeno per lasciarvi senza amaro in bocca. Sognavo in modo ricorrente Federico Fellini. Giorno caldo romano. Lo intravedo a via Margutta. E’ solo e avvolto da un completo carta da zucchero, una cravatta a penzoloni. Accaldato riguadagna l’abitazione. Qualche giorno dopo avrei pranzato con lui all’osteria Due ponti vicino al raccordo anulare. Ero diventato amico della sua segretaria e del suo biografo assistente. Se c’e’ una cosa che mi ha sempre affascinato del regista era ascoltarlo e cosi’ stavo li’ appeso ai suoi racconti.
Fellini suscita negli altri lo stesso sentimento che hanno i romanisti verso la Roma: non si discute, si ama e basta. New York, 47ma strada mattino presto. Ero in piedi da molto tempo complice il jet lag. Mi alzavo alle 3 e facevo colazione in uno di quei bar che non chiudono mai, poi camminavo in attesa dei miei appuntamenti di lavoro per la scuola e mi ripassavo la parte convinto di vampirizzare qualche Star. Un folto gruppo di persone attornia qualcuno. Ma e’ Bono degli U 2! Piu’ in la’ a una decina di metri mi precede un uomo. Non se lo fila nessuno. Io pero’ lo riconosco subito: e’ Sidney Pollack, il regista di Tootsie, di Corvo rosso non avrai il mio scalpo, dei Tre giorni del condor.
Decido di fermarlo e cosi’ cominciamo a chiacchierare e alla fine lo ringrazio per quello che ci ha regalato con le sue immagini. Di li’ a pochi anni, dopo aver interpretato una delle sue piccole parti di attore nell’ultimo film di Kubrick, ci avrebbe anticipato all’altro mondo. Burbank studios, sala di montaggio, alla moviola una brava come Carol Littleton. Trascorro giornate con lei, sarebbe poi venuta all’Aquila. Aveva lavorato per Il grande freddo e ET di Spielberg. A questo proposito mi raccontava come, durante tutto quel frenetico montaggio dell’extraterrestre, Spielberg non fosse mai entrato a vedere cosa lei facesse, se non una sola volta. Quanto di piu’ lontano dal cinema autoriale europeo direte voi! Ma non e’ cosi’. E’ la concezione del cinema che e’ diversa, tutto qui.
Ognuno ha il suo ruolo nella grande ruota hollywoodiana, ognuno fa il proprio in relax e rispetto dell’altro. Alta professionalita’ per una delle industrie a piu’ alta produttivita’ negli States. Tutti ricordi questi che odorano di nostalgia. Non va bene. E allora che faccio, come mi sento e come vi sentite voi oggi? Quando vi sentite soli e isolati, quando state perdendo la speranza, quando un amore se ne va, quando la vita sembra volgervi le spalle, aggrappiamoci cari ragazzi all’epitaffio dedicato a John Wayne che, giocando sulle parole inglesi, recita cosi’: A loner but not a loser ( un solitario ma non uno sconfitto, un perdente ). Alla prossima.


28 Agosto 2013

Categoria : Cronaca
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