Vigili? Per noi dei fratelli, ecco perchè
L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – (Foto: via della Mezzaluna, luogo di ricordi aquilani; sotto una Land dei vigili, immagini dei giorni appena dopo il 6 aprile) – QUALCHE FUGACE RICORDO DEI POMPIERI A L’AQUILA – Gli italiani non amano d’istinto le divise, perchè per loro rappresentano l’ordine e il rispetto della legge, dunque… amici, sì, magari finchè chiudono un occhio e lasciano correre. Il discorso prevede un’eccezione: i vigili del fuoco.
Oggi il Comune ha dato loro la cittadinanza onoraria, ed ha fatto una cosa bella e giusta, immaginiamo molto sentita da un uomo ancora capace di emozionarsi, che si chiama Massimo Cialente. E non solo lui.
LA LAND ROVER – Il nostro contributo di affetto e rispetto per i vigili (dei fratelli nell’aprile 2009 e dopo, quasi sempre, quasi ovunque) vogliamo darlo con qualche ricordo-immagine di quei giorni durante i quali conoscemmo meglio gente che già conoscevamo per mestiere. Dopo decenni di giornalismo, si può dire senza esagerare.
IL FLASH – Pochissimo dopo il disastro. Un vago flash ci torna alla mente. Con nostra moglie si aggiravamo come anime perse tra le rovine del nostro quartiere. Probabilmente pallidi e stremati. Due vigili ci fecero salire sulla Land Rover rossa per confortarci un po’. Ci diedero caramelle. Vollero farci vedere come stavano le cose altrove, e farci capire che eravamo fortunati a stare in piedi senza ferite. Ci inoltrammo su per via Roma salendo e scendendo grazie al potente fuoristrada da mucchi di macerie, fino a San Pietro. Oltre non fu possibile andare. Naturalmente, i due ragazzi si assunsero la responsabilità di ogni cosa, perchè era stravietato muoversi tra le macerie “fresche” con dei civili a bordo. Avemmo la percezione precisa di ciò che era accaduto: un dono prezioso (per un giornalista ancora di più). Un ricordo inciso nella pietra come le figure egizie.
IN VIA DELLA MEZZALUNA – Un vigile del fuoco figlio di un’italiana e di un inglese accompagnò noi e un gruppetto di ospiti (importanti) lungo via Garibaldi e stradine limitrofe, zona rossa, fino a San Silvestro e poi a via della Mezzaluna. Il vigile ne sapeva più di noi di ogni vicolo, di ogni palazzo, di ogni angoletto storico. Un pozzo di sapere aquilano, eppure veniva da lontano. Aveva amato a suo modo quella città devastata, conoscendola.
Di fronte ai ruderi del casino (lupanare, o casa di piacere se preferite) che fino al 1958 era in via della Mezzaluna, supponendo che noi ne sapessimo di più degli altri, ammiccò con complice eleganza. Facemmo lo stesso, di rimando, pur avendo conosciuto (per motivi di età ) quel delizioso luogo di peccato solo di sfuggita e una volta sola, grazie a un amico che stava entrando nei carabinieri e aveva un tesserino. Quella complicità maschile dei vigile non la dimenticheremo mai. Speriamo che quell’uomo stia bene e viva tranquillo da qualche parte.
IL GATTO – Il terzo ricordo è un gigantesco vigile dentro un appartamento inagibile e semitriturato ovunque. Da 15 giorni era chiuso e dentro era rimasto un povero gatto terrorizzato. Entrammo con il vigile e l’elemetto giallo. Sicuri che il gatto fosse morto. Annusammo per percepire odori di decomposizione. Ci risposte un furioso soffiare gattesco e apparve una specie di palla di fucile pelosa: il gatto era vivo, dopo due settimane. Aveva bevuto l’acqua rimasta nel gabinetto. Mangiato nulla. Il vigile tentò di afferrarlo con i guanti. Provate voi ad afferrare un gatto terrorizzato che rimbalza tra pareti e soffitti come una palla di gomma. L’animaletto, prima di sparire in un baleno dalla porta rimasta aperta, graffiò il vigile nonostante i guanti. Quell’uomo buono e paziente disse: “Sta bene, stia sicuro…”. Tutti eravamo contenti che il gatto fosse ancora vivo.
Ma ci fu una scossa 3,5 di magnitudine – con boato – e tutti ce ne andammo alla svelta, mentre cadevano pezzetti di intonaco e un quadretto con la foto di una cascata, in bilico sul suo precario appiglio, finiva in frantumi.
UN PO’ CAFONE – Da quel tempo abbiamo sempre voluto più bene ai vigili del fuoco, anche a quello sgarbato e polentone che ci sparò un sorrisetto di commiserazione quando gli mostrammo il tesserino da giornalista, per avere il permesso di scattare due o tre foto. Un po’ cafone, mica no. Parlò di raccomandati e gente abituata a delinquere, di Sud e di terroni. Ce lo negò.
Le foto le facemmo lo stesso, saltando una transenna poco lontano.
Stia bene lo stesso, è sempre un vigile del fuoco. Forse avrà capito – solo dopo l’esperienza aquilana – che non siamo quei delinquenti che lui immaginava abitassero da Bologna in giù. Semplicemente, eravamo (e sotto molti aspetti siamo) solo dei terremotati.
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