L’Aquila, rinascita ed estetica
L’Aquila – (di Stefano Leone) – IL BELLO E’ UTILE ALLA CITTA’ – (Foto di Massimo Leone: box in piazza Duomo, via Mazzarino e via Piccinini) – La nostra più grande paura non è quella di essere inadeguati, la nostra più grande paura è quella di essere potenti al di là di ogni misura, è la nostra luce non la nostra oscurità che più ci spaventa. Tutto questo se si è accorti e riflessivi.
Spesso capita, però, che la nostra più grande protervia è quella di non avere la paura di essere inadeguati. E’ allora che in noi si scatena quell’atteggiamento radical chic che, se si è al potere, fa tanto glam. Uno dei mali più gravi che, da tempo, colpisce le città di tutto il mondo, è il “male di crescita”. O della ri-crescita dopo un evento talmente tragico da annientare tutto e tutti. La ricostruzione post-siama, il decremento demografico, causato una palese mancanza di futuro, l’improvvisa mancanza degli agglomerati urbani. La città deve affrontare la sfida di non ricrescere implacabilmente senza un piano urbanistico che controlli le nuove trasformazioni e si faccia carico di salvaguardare il benessere degli abitanti. Le conseguenze del post-sisma, almeno fin’ora, si sono tradotte nella snaturazione del centro storico, nella costruzione di periferie aliene e povere di servizi, nella perdita delle comunità e conseguentemente nell’emarginazione culturale. Tale modello di espansione con il tempo mostrerà, inevitabilmente i suoi limiti. Un aumento delle aspettative, per chi ha deciso di rimanere, non ha corrisposto, infatti, a una migliore esistenza nell’ambiente in cui si vive. Molte e diverse sono le ipotesi di ricostruzione della città che si sono succedute nel tempo: lasciare le rovine nel loro stato di devastazione, oppure ricostruire secondo un intervento di volta in volta proposto, o salvaguardando la riconoscibilità degli interventi. Il processo di pianificazione della ricostruzione post-sisma ha dovuto necessariamente prendere in considerazione l’attaccamento fisico, emozionale ed economico della gente dell’Aquila. La civitas ha così smesso di esprimere l’urbe e i cittadini non sono più stati attori nella ricostruzione del loro centro urbano. In questo modo sono nate le brutte periferie, “quartieri i cui abitanti sono quasi del tutto privi di un adeguato risconoscimento simbolico della loro appartenenenza”. E, di brutto, le immagini parlano da sole.
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