Il senso di “Roccacaramanico festival”
(di Licio Di Biase) – Parlare della notte bianca del borgo medievale di Roccacaramanico ad alcuni giorni dal suo svolgimento ci permette di assaporare meglio il senso di un evento giunto alla 3^ edizione.
Anche quest’anno dalle ore 19 dell’11 alle 6 del 12 agosto oltre tremila, quasi quattromila, persone hanno calpestato il suolo di un luogo che ha visto da protagonista, soprattutto nella lunga epoca medievale, alternarsi le varie stagioni che hanno caratterizzato il complesso della Maiella-Morrone. E così, per 11 ore si è passati dalla messa celebrata da Mons. Angelo Spina, Vescovo di Sulmona ai piedi del Morrone, montagna sacra a Celestino V ed in uno scenario affascinante, al festival della “Saltarelle” abruzzese, passando per l’inaugurazione della mostra dedicata a Nicola D’Antino e quella di Restituto Ciglia con 30 chine su Roccacaramanico. Poi, dopo la mezzanotte il “festival” è proseguito nello scenario di Piazza Callarone, la piazza che si apre come una finestra sulla Maiella. E qui dopo la presentazione del mio libro “L’onorevole d’Annunzio” c’è stata la rappresentazione teatrale “Gente del sud” del “Teatro sociale di Pescara”. Ma sicuramente un momento di grande fascino è stata l’esibizione di Mimmo Locasciulli, intervenuto come amico, che ha presentato il suo brano “Vola, vola, vola”, unica canzone scritta anni fa dall’autore pennese in dialetto abruzzese e questo in sintonia con l’edizione 2013 del “Festival” che ha posto al centro l’abruzzesità. La notte è proseguita con una performance di Federico Rosati, seguito dai DisCanto e poi Vincenzo Olivieri ha salutato l’alba, accompagnando i tanti rimasti in piedi alla colazione con peperoni e uova e pane fresco della Maiella.
Bene, questa la narrazione della mezza giornata.
Veniamo ora al senso della manifestazione.
E’ evidente che “Roccacaramanico”, non avendo spazi commerciali, non avendo bisogno di questo evento per progredire, diventa solo uno strumento per sollecitare l’attenzione alla conoscenza di tutto quell’immenso patrimonio storico, culturale, artistico, architettonico, naturalistico ed enogastronomico della regione. Infatti è un modo per trasmettere messaggi sulle potenzialità della regione, fuori i confini delle terre d’Abruzzo. I lunghi sentieri del Morrone e della Majella, le bellezze architettoniche degli innumerevoli borghi medievali, senza parlare degli eremi celestini e poi tutto il grande fascino di un ambiente ancora sano e ben conservato. Dare valore alla “Regione più Verde d’Europa”, ripensando il modello turistico in voga, deve essere il chiaro nuovo obbiettivo di una regione che non può piu’ fare affidamento sul sistema economico sviluppatosi negli anni ’70 e che vedeva nell’industria l’elemento trainante dell’economia regionale. La globalizzazione con la conseguente crisi dell’industria pone seri interrogativi sul nostro futuro. E allora, guardiamoci intorno e ci accorgeremo che dobbiamo credere e investire sempre di piu’ nella risorsa territorio e che non abbiamo da valorizzare solo “il mare ad un’ora dalla montagna”, ma tutto un mondo che conserva ancora intatta tutta la sua storicità. Una regione con tanti piccoli centri collinari e montani ricchi di storia, tradizioni, cultura quasi sempre di origine medievale.
Ecco, questo è il senso del “Roccacaramanico Festival”. Non è e non sarà mai “la sagra” o una normale notte bianca, infatti le notti bianche si fanno dove ci sono spazi commerciali, nei grandi centri urbani dove ci sono tante persone. Avere la presenza di oltre tremila persone in un centro a 65 km. dalla costa significa essere riusciti a creare un’affascinante attenzione, esaltando il borgo medievale, in una notte d’estate, con tanti artisti e con tanto Abruzzo.
Ma questa edizione induce ad andare oltre “il festival”.
Infatti, almeno quattro eventi produrranno delle importanti prosecuzioni.
Innanzitutto, la mostra conoscitiva su Nicola D’Antino. Artista quasi sconosciuto nella sua provincia. Infatti, nato a Caramanico, pochi conoscono questo grande scultore che soprattutto negli anni ’30 ebbe una risonanza nazionale, realizzando le quattro sculture che stavano sul Ponte Littorio a Pescara, poi la Fontana Luminosa e la Fontana Gemella a L’Aquila e due scultura nel Foro Olimpico a Roma. Con questa Mostra ci si è posti l’obbiettivo di sollecitare una valorizzazione del personaggio e dopo il “Roccacaramanico Festival” il percorso è avviato e già si parla di convegni e mostra antologica.
Poi, Restituto Ciglia. Un personaggio che appartiene alla memoria della città di Pescara e che recentemente ha realizzato 30 chine sui vari angoli di Roccacaramanico. Inevitabile la mostra che ha riscosso un grande successo. A breve seguirà il catalogo.
Anche il “Festival della Saltarelle abruzzese” avrà un seguito. I 9 gruppi che si sono esibiti, alcuni erano cori folk altri gruppi etnici, hanno espresso il loro meglio, considerando che non tutti avevano “Saltarelle” nel loro repertorio. Questa iniziativa parte dalla considerazione che non è possibile che l’Abruzzo, soprattutto la vasta area costiera, debba subire un processo di colonizzazione da parte di musiche popolari appartenenti ad altre tradizioni, come la Pizzica, disconoscendo la propria. La “Saltarelle” appartiene ad una tradizione che vede nel cenacolo michettiano un momento di esaltazione come si percepisce chiaramente da questo brano tratto da un articolo scritto da Carlo Altobelli e pubblicato su “La Tribuna” del 2 aprile 1888 in cui descrive un grande evento organizzato nel Convento da Francesco Paolo Michetti a Francavilla:
La gente veniva in folla. Veniva da Pescara, da Castellamare, veniva da Ortona, veniva da Chieti. Sarebbe venuta da cento altri paesi ancora di questa regione benedetta dal sorriso di Dio, se un tempo cupamente nuvoloso non avesse in parecchi potuto più del sentimento dell’arte.
Perché ieri Francavilla fu teatro di un avvenimento artistico – un avvenimento simpatico, geniale, schiettamente abruzzese. Immaginate che Francesco Paolo Tosti, abbandonate le nebbie di Londra – la grande metropoli ove si accentrano le maggiori energie e le più audaci iniziative della vita moderna, e dove egli trionfa ricercato, desiderato, amato da quanti hanno il culto dell’arte – sia venuto a ritemprarsi nel molle clima, dolcissimo, di Francavilla.
Immaginate che egli sia ospite di Francesco Paolo Michetti, laggiù nel convento trasformato in un tempio nel quale uno, rapito d’entusiasmo, commosso, ammira i capolavori di questa fortissima tempra d’artista – d’ogni freno impaziente, di convenzionalismi, vecchi o nuovi intollerante e disdegnoso – eppure così vero, e pure nelle sue manifestazioni così potente, così pieno di vita sana e rigogliosa, così ricco di sentimento. (…)
E quando tutte queste cose e queste persone avete immaginato riunite insieme lì, a Francavilla, vi sembrerà naturale che Francesco Paolo Tosti, in uno dei momenti geniali della sua brillante carriera, abbia pensato di iniziare la tradizione di una Canzone popolare abruzzese.
Il momento non poteva essere scelto con opportunità maggiore.
Nel lunedì dopo Pasqua, in Francavilla, sulla spianata del convento si fa una festa a Sant’Antonio – il canto, come sempre, è un pretesto per divertirsi.
Sul piano, che si estende nel declinare molle della collina, s’improvvisano delle tende, s’innalzano pennoni dai quali sventolano bizzarramente drappi tricolori, e qua e là fra il verde vivo degli alberi compaiono colonnette con i tradizionali variopinti lampioncini.
E la gente accorre, fa una capatina alla chiesa, entra nelle tende ove alza il gomito spensieratamente allegra, si riversa sul piano, si affolla intorno ad un giovanotto che suona l’organetto, intreccia le danze, e comincia la saltarella, vispa, agile.
E poi si ferma – arriva la banda – vi è un momento di sosta – in quella musica vi ha qualche cosa di tristo, che fa tutti pensosi – ma è un momento – l’allegria ricomincia più sfrenata di prima, più provocanti che mai si muovono le anche di quelle voluttuose, forosette, svelte, vive, sane, simpaticissime.
Ma ecco che da ogni parte si grida silenzio – tutta quella massa di gente si riconcentra in un punto del piano – dall’ospitale casa di Francesco Paolo Michetti scendono a due a due, fra una doppia ala di cavalieri, le giovanette del popolo che dovranno cantare la canzone di Francesco Paolo Tosti – seguono i giovanotti – e poi viene una schiera di signore eleganti, buone, cortesi, e poi di signorine graziose, carine, attraentissime.
(…)
E la canzone ricomincia (…)
E l’entusiasmo cresce, e la tradizione della Canzone popolare abruzzese si è iniziata, ed a salutarla rumoreggiano sul declivio della collina i petardi che slanciano al cielo granate scoppianti in sfolgoranti colori, suona la musica inni di vittoria, mentre che il popolo si disperde per la campagna silente, nella quale lontano lontano si affievoliva l’eco dolcissima delle melanconiche note della canzone abruzzese.
Quindi, sulla Saltarelle ci sarà una continuazione di sollecitazioni e di acquisizione di consapevolezze.
Altro discorso su cui si proseguirà l’iniziativa è l’elaborazione della richiesta all’Unesco del riconoscimento degli EREMI CELESTINI quale patrimonio dell’umanità. La procedura è complessa, ma già lo scorso Mons. Forte, e quest’anno Mons. Spina hanno sottolineato la grande opportunità che si presenta all’Abruzzo nel percorrere la strada di questa valorizzazione di un Patrimonio storico-culturale, religioso ed ambientale.
Tutti temi, argomenti e riflessioni che devono far acquisire la chiara consapevolezza che la nostra regione deve modificare il proprio approccio nella valorizzazione del territorio.
Ecco, il turismo abruzzese è tutto racchiuso in questi concetti. Una regione che oserei definire terra di eremi, torri, borghi e campanili
Gli eremi: patrimonio unico e di un indescrivibile fascino e su cui tutta la Regione dovrebbe concentrare la propria attenzione per sostenere l’iniziativa in atto di richiedere all’Unesco il loro riconoscimento come patrimonio dell’umanità.
Le torri: residui del processo di parcellizzazione del territorio nel lungo millennio medievale aspetta solo recupero e valorizzazione, ma dopo un processo di acquisizione della consapevolezza di questo grande ed inestimabile patrimonio.
I borghi: insieme alle torri sono la testimonianza di un territorio che, anche se attraverso grandi contraddizioni, è riuscito a mantenere la propria fisionomia. E oggi questi borghi sono i veri elementi di attrazione turistica di stranieri e non la costa. Infatti, gli stranieri non vengono al mare nella costa abruzzese, ma vengono per acquistare case dal sapore di cose antiche.
I campanili: forse neppure ci rendiamo conto di quale patrimonio storico-culturale riempie quell’ora di macchina che conduce dalla costa alla montagna. I campanili stanno lì a disegnare il nostro territorio e a caratterizzate un paesaggio urbano che testimonia la millenaria storia vissuta da un mondo che è riuscito a conservare intergo il proprio ambiente.
Ecco, occorre un turismo fatto di conoscenza e quindi di consapevolezza, di recupero e tutela e poi di grande valorizzazione. E questo patrimonio è preso d’assalto dagli stranieri che vengono dalle nostre parti ad acquistare “la tranquillità, la genuinità e l’armonia” delle nostre aree interne. E allora forse occorre modificare il messaggio. Non piu’ la centralità della spiaggia, del turismo balneare ma del mondo affascinante e fascinoso rappresentato dalle aree interne.
Forse bisogna tornare a ciò che disse Gabriele d’Annunzio nel suo comizio del 22 agosto 1897 durante la sua campagna elettorale in cui fu eletto deputato, e che è ricordato come “Il discorso della siepe”:
“Tale è la verità, che io sono fiero e lieto di enunciare oggi al cospetto d’un popolo, pur contro la derisione dei beoti: – La fortuna d’Italia è inseparabile dalle sorti della Bellezza, cui ella è madre. Tale è la verità sovrana che noi miriamo, come l’imminente sole di quella divina e remota patria ideale dove peregrinò Dante. Che hanno mai fatto della bellezza, dell’arte, della dottrina, d’ogni più ricco tesoro, d’ogni più nobile ornamento dello spirito italico gli uomini partecipi del governo, in tre decenni? Per quali modi hanno essi difeso, per quali modi hanno essi cercato di accrescere il patrimonio della grande coltura latina che innumerevoli generazioni di artisti e di sapienti ci tramandarono come la meravigliosa testimonianza del privilegio; onde la natura fece insigne il nostro sangue?”.
Questa idea della valorizzazione del territorio abruzzese, in tutte le sue caratteristiche, deve essere presente nella politica turistica della nostra regione.
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