Acque non dolci chiare e fresche…
Se il poeta fosse vivo, morirebbe di ipocondria, scoprendo come sono ridotte le “chiare dolci fresche acque” che lambiscono l’Abruzzo per 130 chilometri, ma soprattutto annusando l’odore che mandano i fiumi, dai quali discende tanta acqua-melma che finisce in mare. Se il poeta fosse vivo, non scriverebbe ciò che ha scritto ma impugnerebbe un arco o una balestra. O aspetterebbe la diffusione delle armi da fuoco.
E’ difficile, in una terra piccola e baciata dalla natura come l’Abruzzo, combinare tante porcherie, quante se ne scoprono: discariche immense di veleni, città sporche, pasticci con i rifiuti, fogne invece di fiumi, divieti di balneazione, improvvisi riversamenti di color marrone in mare, depuratori costati somme enormi (da poter dare lavoro a tutti i precari e i disoccupati della regione) ma non sufficienti o non funzionanti. Gestione delle acque da ordine di arresto, inchieste, passività mostruose, stipendi elargiti da mercanti della politica. E acqua che manca nelle case ogni estate. Reti fognarie perforate da centinaia, migliaia di pertugi, che fiottano acqua nel sottosuolo, sprecano, dilapidano un bene prezioso e costoso.
Quanti cialtroni della politica abbiamo sentito parlare delle reti colabrodo, di progetti, interventi, impegni, scadenze, date e persino durata dei lavori. I cialtroni esistono ancora, e pure i buchi nelle tubazioni. A L’Aquila di più. La terra ci ha dato una mano, tanto benigna.
Francamente, di peggio non c’è in fatto di acque. Di mare , di lago e di terra. Prendeteli a calci nei glutei e mandateli in Trentino o in Valle d’Aosta a vedere come si fa. Prima di licenziarli tutti e liberarci di loro: torneremo volentieri a bere acqua con le mani, come nella canzone di Battisti. O moriremo di sete, chi sa.
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