Moretti: reflusso di coscienza in libro
(Di Carlo Di Stanislao) – Secondo la psicologia dinamica di Heinz Kohut, il Sé, la nostra coscienza, si forma sulle esperienze dei primi tre anni di vita, ma Mario Moretti, nato a Genova ma con sangue abruzzese fino all’ultima goccia, la sua stratificazione e sviluppo durano tutta la vita.
Come diceva Jung, nel processo analitico il paziente può stabilire con il terapeuta un transfert oggetto-Sé speculare o idealizzante, consentendo così la formazione di una seconda possibilità di sviluppo. Quando il terapeuta ha atteggiamenti empatici, di comprensione e di rispetto, l’internalizzazione trasmutante transferale può diventare il nucleo di una struttura compensatoria del sé.
A volte tutto quresto riguarda il lettore, quanto empatica è la trama di chi ha scritto, vergato, scelto le parole, una per una, con un procedimento tanto lessicale che emotivo.
Scrive nella introduzione Michele Mirabella che il diario di un uomo non può essere che un “reflusso di coscienza” , squadernamenti proposti con l’ansia del riepilogo ed il tentavo estremo di mostrare il candore intatto, nonostante tutto, dell’anima.
Mario Moretti, sfacciato e senza malizia, si racconta così, ad un passo dalla fine (avvenuta lo scorso anno, appena finito questo diario intimo ed erotico), in una “lettera semiseria” a sé stesso, con la spinta eterna della passione.
Sicché, “Reflusso di coscienza. Memorie erotiche di un teatrante”, in 220 pagine e per poco più di un euro ciasscuna, racconta la storia intima e pubblica di un grande autore, di teatro e di cinema, iniziata nel 1963, dopo la laureai n Lingue e Letterature Straniere, a Roma, con Giovanni Macchia e il diploma alla Sorbona, Lettore di Italiano Presso l’Università di Stoccolma, dove mette in scena come regista, con gli allievi del suo corso, due spettacoli: “Serata futurista” e “Serata d’Avanguardia”, mostrando da subito la sua vera indole di autore capace di spettacolizzare i drammi umani.
Nel ’66 si dimette dall’insegnamento (e dalla pace-rifugio della’ Università) per tornare in Italia e dedicarsi completamente al teatro, fondando, a Roma, il “Teatro Tordinona”, “Il CaffèTeatro” di Piazza Navona, il Teatro in Trastevere e, nel 1982, il “Teatro dell’Orologio:, la multisala di cui è stato direttore artistico fino all’ultimo giorno.
Ha scritto un numero molto ampio di testi, tradotti in varie lingue e, per il cinema, due sceneggiature da sue opere: “Processo di Giordano Bruno”, (regia di Giuliano Montaldo, con Gianmaria Volontè) e “Cuore di cane”, (regia di Alberto Lattuada, con Max Von Sidow e Mario Adorf), tratto dal romanzo di Michail Afanas’evič Bulgakov, dove, come per magia, riesce a traferire “per immagini” la struggente vicenda di una creatura antropomorfa, che con la sua ingenuità e impetuosità sconvolge la rigida società circostante e la tranquillità di due scienziati, che ben presto lo riportano alla condizione canina, non sapendo gestire questa irruente ed innocente naturalità.
Lui che ha insegnato a decine di attori, una sola volta ha recitato, dirigendosi in “Oenne e Disegnone” di Diego Gullo, che è la vera storia di un disegno e di una parola uguale a tutte le storie ma così diversa da tutte le storie, come uguale e diverso è questo suo diario intimo ed erotico, in cui candore, innocenza, ma anche orrore, ferocia terribile ed esplicità estrema, sono vergate con un’arroganza tremenda e senza misura, per dimostrare, come alcuni commenti alla Torà, che il nostro mondo acquista significato con la passione. E che un mondo senza passione non è interessante, non ha nulla da scoprire, non ha nulla da spiegare, non ha nulla da far crescere.
Grazie a questo diario, che ricorda le parole del grande Rav Benny Perl, si dimostra in forma di viaggio o diario, che la sessualità richiede all’uomo intimità, un linguaggio personale caratterizzato dalla sincerità e dalla scoperta, e in cui l’esternazione non è più il nemico dell’intimità, ma invece la sua migliore alleata.
Ha diretto molti Festival teratrali ed è stato presidente, per dieci anni, del Festival Opera Prima di Roseto degli Abruzzi, prima kermesse a rintracciare gli umnori volatili della celluloide ed identificare la statura, già grande nell’abbozzo, di giovani autori.
Chi scrive ora lo rimpiazza ma non lo sostituisce di certo, né per sensibilità né per acume, tentano solo, incerto, di calcarne l’impronta.
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