Gli sfregi da gas? Fin dagli anni Settanta, quando Peltuinum fu sventrata dal metano
L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – I TIMORI DEBBONO RIGUARDARE PIU’ L’ARCHEOLOGIA E LO ZAFFERANO, CHE I RISCHI SISMICI – (Foto: Un gasdotto e gli scavi, sotto le proteste peligne, il teatro di Peltuinum e lo zafferano) – L’Abruzzo peligno e più a nord quello aquilano, subiscono gli… sfregi da gas fin dagli anni Settanta, ed hanno già dato più di quanto sia mai stato possibile dare. Il progetto SNAM per un gasdotto con tubi da 120 centimetri che dovrebbe salire dalla Puglia, attraversare l’Abruzzo interno, adoperare una centrale di lavorazione a Sulmona, proseguire sull’altopiano di Navelli, sfiorare L’Aquila e inoltrarsi nell’alta Valle dell’Aterno verso Marche e Umbria, per giungere a Ravenna, ha un poco illustre precedente. Che tutti hanno dimenticato. Ma non i nostri archivi.
Negli anni Settanta un metanodotto (tubazioni molto più piccole) sfregiò l’intero altopiano di Navelli e fu fatto passare da ENI e AGIP dritto e imperterrito nel cuore della città vestina di Peltuinum, una preziosa e allora quasi ignota area archeologica. Un solco profondo violentò e sfigurò preziosi reperti e persino le mura di cinta di Peltuinum, diretto verso L’Aquila. Il danno ambientale e archeologico fu svelato solo dai nostri articoli su diversi giornali. Molto sgraditi, naturalmente.
Nessuna istituzione, nessun politico, nessun nume tutelare della cultura nè tanto meno gli ambientalisti si fecero vivi. Il metanodotto passò e chi vuole, può andare a vedere le indicazioni in superificie che ancora esistono proprio a Peltuinum. La classica incultura abruzzese e aquilana tacque alla grande. I potenti del gas passarono indisturbati.
Oggi con la SNAM si concretizza il secondo sfregio.
Nel settembre 2004, la SNAM ha messo deciso la realizzazione del metanodotto Brindisi-Minerbio. Un gasdotto che dovrebbe snodarsi per 687 km circa, con un condotto di 1200 mm di diametro, adagiato a 5 metri di profondità , servitù di pertinenza di 40 metri (20 per lato). Dovrà servire a trasferire il gas algerino lungo tutto l’Appennino. I comuni abruzzesi interessati sarebbero 21, tra cui Popoli, Collepietro, Navelli, Caporciano, San Pio delle Camere, Prata d’Ansdionia, Fagnano Alto, Barisciano, Poggio Picenze, San Demetrio né Vestini, L’Aquila, Pizzoli, Barete, Cagnano Amiterno. Se volete il fior fiore della sismicità più alta d’Italia, concentrata tra Valle Peligna e Aquilano, fino al Reatino. Mappe viola quelle sismiche di questa zona: pericoloso altissimo, e forse dovremmo saperne anche qualcosa. 1703, distruzione dell’Aquila. 1706, gran botta in Valle Peligna. 2009, non c’è bisogno di aggiungere altro… E solo per limitarci all’epoca illuministica. Altri fortissimi sismi vi furono prima, e anche in epoca preromana e romana.
“Il tracciato dell’opera si snoda – si legge tra le motivazioni dei contrari – lungo le depressioni tettoniche interne dell’Appennino Centrale storicamente interessato da un notevole tasso di sismicità che si manifesta con eventi anche di magnitudo elevata”.
Più esattamente il tubone interrato di 5 metri in Valle Peligna seguirà una faglia lungo il monte Morrone, ritenuta attiva e minacciosa. Tra L’Aquila, Pizzoli, Barete, Montereale, Cagnano Amiterno, e più avanti Amatrice, il gasdotto passerà nell’area a maggiore rischio sismico di tutto l’Appennino centrale. Basta tutto questo per convincere?
Si propone di immergere il tubone nell’Adriatico, facendolo correre costa-costa fino in Emilia. Anche l’Adriatico, a dire il vero, ha fondali altamente sismici specie in prossimità della costa. Addirittura presenta una fenditura di placca: il blocco africano (che si spinge fino a Trieste) comprime la penisola da milioni di anni, genera terremoti e a suo tempo ha anche innalzato il Gran Sasso e le altre montagne… Non è cosa, dunque.
Cosa può capitare ad un gasdotto in un terremoto forte? Ingegneri e specialisti dicono: niente. Se si spostasse il piano di faglia, l’erogazione del metano si interromperebbe all’istante. Come fa quando la tubazione subisce scosse da 5 Richter in su. In caso di perdite, il calo di pressione farebbe intervenirte altri sistemi di sicurezza già sperimentati (se si ha buona memoria) a L’Aquila e dintorni nel 2009.
Il problema, quindi, sono più le aree archeologiche (che subirebbero lo sfregio, il secondo) che la sicurezza. Oggi i siti archeologici sull’ Altopiano di Navelli e dintorni sono diventati decine e tutti di grande rilievo. Chi sa se politici e ambientalisti lo sanno. Inoltre, sull’Altopiano esistono numerose e importanti colture di zafferano, prodotto prezioso e unico dell’Aquilano. Infervorati a ripetersi e a copiarsi l’un l’altro, non ne parlano mai. Eppue la ricchezza da proteggere sta sotto terra o è appena affiorata. E’ l’archeologia. Non la retorica antigasdotto che fiorisce su tante bocche non innocenti.
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