L’Aquila non potrà vivere di pane e mattoni


L’Aquila – (di G.Col.) – (Le foto: perplesso il Ministro Bray in centro oggi – Pezzopane, Cialente e Bray – Resti di movida: l’ex bar Tropical e, sotto resti di sapere: palazzo universitario spaccato) – Talvolta la politica diventa sfumata, perde i suoi toni rodomonteschi e accesi, e scolora verso le parole dette con il cuore e con il cervello. E’ capitato oggi, durante la visita del Ministro Bray e l’incontro con gli aquilani al Palazzetto dei Nobili. Cominciamo con le battute, perchè sorridere è sempre un buon esordio. Un collega teleoperatore di consumata esperienza, lo stesso che tanti anni orsono (eravamo con lui cronisti televisivi) apostrofò con goffa genuinità il papa Giovanni Paolo II in piedi saldamente su una Campagnola scoperta: “Santità, che ne pensa delle nostre montagne?”. Il papa non si scompose e disse: “Le conosco benissimo…”.
Lo stesso ha oggi puntato la sua telecamera indomita sul Ministro Bray, che ha una copiosa chioma canuta, e ha bofonchiato: “Quissu prima di entrà ajiu governo tenea tutti i capelli scuri…”.
Probabile, comunque, che i capelli bianchi di Bray siano divenuti più numerosi. Certo, l’uomo, apparentemente algido e distaccato, vagamente ascetico, deve aver provato stretta al cuore girando e fotografando da solo, come ha fatto, il centro aquilano. Che diviene ogni giorno più livido, tragicamente sfregiato e sconquassato. Nell’incontro al Palazzetto dei Nobili, unica bomboniera di trattenimento fastoso esistente tra impalcature, transenne, pali d’acciaio e voli di piccioni spennacchiati, nel centro che ormai si raggiunge a piedi lungo strade deserte che descrivono una bellezza frantumata, le parole del cuore. Il festival dell’Immaginario rianimerà L’Aquila con spettacoli, musiche, luci, recital resi struggenti dagli scenari di puntelli e tubi Innocenti.
Attori, cantanti, recitanti, maghi del colore, poeti, narratori, musicanti, guitti fiabeschi, ballerini, fini dicitori, volti noti e meno noti. Un’abbuffata di arte e di cultura in una città che per un paio di settimane smetterà di essere un non-luogo, come per 340 giorni l’anno da 4 anni, per fingersi viva e apparire brulicante di essenze, ricordi, scorci suggestivi. Un po’ come Venezia, che dietro i suoi fastosi palazzi smerlettati, è in realtà morta e vuota. Solo uno scenario, anche se tra i più belli del globo terracqueo. Acqueo, nel caso di Venezia.
La struggente marionetta aquilana abbandonata vuota e reclinata in un angolo buio riprenderà vita, avrà un guizzo, e forse il viso di Pierrot con la dolce e muta lacrima del clown. Ma sarà vita.
“Tutto è difficile, tanto difficile a L’Aquila” ha mormorato Stefania Pezzopane, parlando del festival, che lei ha inventato riuscendo ad ottenere finanziamenti ministeriali oltre che di privati. “Ma abbiamo sempre voluto andare avanti, recuperare, rimettere in piedi la cultura che nel 2009 è stata letteralmente distrutta, anche fisicamente, nei suoi luoghi consueti”. Aver inventato questo palcoscenico dell’immaginario è sicuramente aver interpretato L’Aquila, che non potrà vivere di pane e mattoni. Sempre che qualcuno procuri pane e mattoni. Ma ora la città rivive, tenta almeno, grazie ai suoi sforzi, all’impegno di chi lavora nella cultura.
Chi non conosce la città - ha detto Massimo Cialente - non può immaginare, oggi, che alta qualità della vita che c’era a L’Aquila, dove nei week end coincidevano persino decine di eventi e appunamenti culturali. Musica, teatro, buon cinema in città. Gente che si incontrava per due chiacchiere nel bel piccolo centro provinciale, nel salotto, dopo aver gustato buona musica. C’era da scegliere”. La città, ha detto la Pezzopane, ha sempre avuto il coraggio “di scendere dai monti sui quali è arroccata, fin dagli anni Sessanta, e di fare grandi cose, dal teatro stabile in avanti. Lungimiranza, idee, cultura messa in campo. Una scelta di vita”.
Aggiungeremmo la cultura scientifica, e le eccellenze in questo campo. Aggiungeremmo che è tempo di riedificare non usando solo cemento, ferro, ingegneri, imprese fortunate e grandi appalti. In fondo, nell’ “ecclesia spiritualis” cara a Celestino V beni e ricchezze non si misuravano a conti in banca e tassi di interesse. Quelli, magari, stavano a cuore ad alti porporati e prelati. Ma un momento: ci pare di aver sentito qualcosa del genere da papa Francesco e letto qualcosa dalla Lumen Fidei. Forse ci sbagliamo, siamo abbacinati e storditi dal vento e dai rimbombi che abitano le rovine del centro. Sovrani silenzi, trasparenti ombre dal passato, mute come le pietre fredde abbandonate in chiassetti, cortili, androni di ingressi nei quali non si esce e non si entra più.


09 Luglio 2013

Categoria : Cronaca
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