Province, un nuovo ruggito di topo?


L’Aquila – (di G.Col.) – Il Governo Letta si è seduto al volante di una ruspa ed ha deciso di annullare le province, cancellando addirittura la parola nel testo costituzionale. Che possa trattarsi di un nuovo ruggito di topo, è ben più di un sospetto. L’esecutivo lo ha fatto non con un “decreto costituzionale”, come con la solita approssimazione da orecchianti hanno riferito alcuni mass media, ma con un disegno di legge costituzionale, che comunque dovrà seguire un iter abbastanza lungo e complesso. Sarebbe bastato ai cronisti dalla notizia facile (e fasulla) consultare un libretto di diritto costituzionale. Ma ormai ciò che si sente in televisione, soprattutto, è sovente raccapricciante e desolante.
Nell’ordinamento italiano, un decreto legge è un provvedimento provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari “di necessità e urgenza” dal Governo, ai sensi dell’art. 77 della Costituzione della Repubblica Italiana. Giustamente, la Consulta ha spazzato via il decreto del Governo Monti che azzerava e accorpava le province. Il decreto legge, detto anche catenaccio, presuppone provvedimenti di urgenza e comunque va concertito in legge entro 60 giorni. Per la province certo non esisteva un’urgenza tale da esigere un decreto legge.
Per un disegno di legge di modifica della Costituzione servono due passaggi in Parlamento, distanti non meno di tre mesi l’uno dall’altro, ed una maggioranza assoluta o di due terzi dei componenti, nella seconda votazione, per le modifiche costituzionali. Se i due terzi non sono raggiunti, alcuni soggetti possono chiedere la sottoposizione a referendum del progetto.
Una volta modificata la Costituzione, bisogna emanare una legge ordinaria per azzerare le province, distribuire le loro deleghe ad altri enti, collocare il personale, stabilire a chi andrà la proprietà dei beni immobili che appartengono alle province. Come palazzi, ad esempio, e sedi.
In Abruzzo la situazione appare ancora più complicata, perchè sono in atto procedure per realizzare a L’Aquila una nuova sede della provincia, un ambizioso progetto nel cuore del centro storico, del costo di almeno 50 milioni. Il progetto è stato approvato e finanziato ed è a buon punto. Che fine farà? Era, ed è, l’unico insediamento rilevante nel cuore della zona rossa, di cui il presidente Del Corvo andava (giustamente) fiero.
La storia delle province in Italia è una classica pagliacciata politica, di quelle che marchiano a fuoco un paese di improvvisatori e di marionette in balìa delle pulsioni politiche più becere. Ritenute inutili da qualcuno da decenni, furono indicate già dagli anni ’80 come enti da cancellare. Mentre sapientoni e ciarlatani facevano carriere su questo argomento, si levavano da tutta Italia pressioni e movimenti per crearne di nuove. In Abruzzo memorabile la battaglia della Marsica, che storicamente e geograficamente avrebbe avuto le carte in regola per diventare provincia.
Molte altre zone furono favorite (basti pensare a Fermo, Barletta, Rimini, Lodi, Monza, Crotone, Oristano, e tante altre aree) e divennero province, anche solo pochi anni fa, mentre spiravano i venti dei moralizzatori abolizionisti. Per chi aveva diritti solidi e ragioni ben motivate, come Avezzano, non se ne fece mai nulla. La politica abruzzese soffocò l’argomento, lo seppellì ipocritamente.
Oggi siamo alla ruspa cieca di Letta e all’azzeramento. In tempi lunghi, è ovvio, durante i quali può accadere di tutto. Anche che trionfi la storica buffoneria di questo paese che tutta l’Europa prende in giro. Altro che i sorrisini della Merkel e di Sarkosy…


06 Luglio 2013

Categoria : Politica
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