Ofena, cava chiusa e lavoratori a casa
Ofena – Una storia all’italiana, tipica e dall’esito immancabile: pagano il conto i più deboli, cioè i lavoratori e le loro famiglie. La cava, che in qualche modo rappresentava una risorsa (soldi al Comune e lavoro per numerosi operai e trasportatori), è chiusa e così resterà per un tempo presumibilmente molto lungo. In Italia, appunto, si è molto bravi a pasticciare tra carte, regole, burocrazia, interessi politici, finendo nella palude, ma si è molto meno bravi a uscire dai pasticci per tutelare l’interesse collettivo. Al danno economico e sociale, possiamo anche aggiungere quello ambientale: il magnifico paesaggio della Valle del Tirino, una specie di piccolo West abruzzese circondato da montagne boscose, ricco di vestigia archeologiche (del tutto trascurate e dimenticate) e monumentali (vogliamo pensare soltanto a S.Giovanni da Capestrano e al castello di Capestrano?), e e resterà a lungo profondamente sfregiato dalla cava.
La storia è lunga e ne avete letto alcune “puntate” anche su questo nostro giornale. Carte e documenti si sono ammonticchiati, gli avvisi di garanzia pure, dunque tutto è in mano alla magistratura, le cui procedure non sono certo scattanti e rapide. La serie degli errori (o peggio?) degli amministratori è altrettanto lunga. Tutto è stato riassunto in una vivace assemblea, due sere fa, presente il sindaco Masuro Castagna, che figura tra gli indagati, anche se i problemi risalgono a prima di lui. Dino Rossi del COSPA ha spiegato i retroscena e motivato i suoi ricorsi dalla magistratura, che hanno prodotto effetti e sicuramente contribuiranno a far luce, mettendo in luce, se ci sono, illeciti e attività illegali. Si parla di delibere, bandi di gara, autorizzazioni, concessioni, ma anche di abusi di ufficio e conflitti di interessi. Una complicata serie di eventi che portò al sequestro e alla chiusura della cava, con conseguenze sui lavoratori. Ora la magistratura ha disposto il dissequestro, ma la cava rimane chiusa ugualmente: occorre ripercorrere da capo l’inter delle autorizzazioni. Roba estenuante e lunghissima, e al Comune viene a mancare l’entrata derivante dalla concessione in uso della cava. Ce n’è quanto basta per un esposto alla Corte dei conti, in relazione ai danni economici? Può essere.
Se vi fossero sale in zucca e reale interesse per i lavoratori, l’iter si accorcerebbe e si riaprirebbe l’attività estrattiva. Tanto, il danno dello squarcio c’è e non lo leva nessuno. Forse, a cava operativa, si potrebbe pensare a mitigarlo con adeguati interventi. Ma mica siamo in Svizzera, qui… Questa è solo la terra dei pasticci e dei garbugli indistricabili. In mezzo, lo dicevamo, finisce tritato chi è più debole: i lavoratori. Bel è il nostro “wellfare state”, una meraviglia…
Non c'è ancora nessun commento.