Perché il sindaco Cialente e l’assessore Riga sono accusati di omicidio colposo dai familiari delle vittime del terremoto dell’Aquila?


L’Aquila – Il giorno 2 luglio sarà una giornata molto importante per i familiari delle vittime del terremoto dell’Aquila che stanno conducendo da 4 anni una battaglia per far emergere le responsabilità istituzionali e non istituzionali che hanno determinato la morte dei loro cari, responsabilità non riconducibili soltanto all’evento naturale che come tutto sanno era imprevedibile. Il 2 luglio, infatti, si scriverà una pagina importante della storia processuale sui fatti pre terremoto e ci sarà una camera di consiglio presso il Tribunale dell’Aquila, davanti al GIP, dott. Romano Gargarella, per decidere in merito all’opposizione dei familiari delle vittime (Pier Paolo Visione, Massimo Cinque, Vincenzo Vittorini e l’Associazione 309 Martiri dell’Aquila, tutti difesi, in questo procedimento, dall’Avv. Fabio Alessandroni) alla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, dott. Fabio Picuti, riguardo alle posizioni del sindaco dell’Aquila Massimo Cialente e dell’assessore alla protezione civile del Comune dell’Aquila Roberto Riga accusati di omicidio colposo plurimo.

Questo quotidiano online segue queste vicende senza alcun filtro fin da alcuni mesi precedenti al sisma e fra qualche mese pubblicherà a futura memoria una raccolta di articoli, di editoriali e di opinioni scritte in questi 4 anni che riteniamo possano aiutare in futuro gli studiosi della triste vicenda aquilana a capire l’accaduto ed il ruolo dei vari personaggi coinvolti.

Sappiamo che in molti, in Italia, in Abruzzo ma anche all’Aquila sono ormai distratti da tanti altri eventi della vita sociale ed economica e sono ormai poco interessati a tali vicende ma InAbruzzo.com ritiene importante raccontare ancora tutto ciò che succede in riferimento al terremoto dell’Aquila del 2009, certi di fare un servizio anche per i futuri portatori di interesse.

Segue un estratto dell’atto di opposizione redatto dall’Avv. Fabio Alessandroni in difesa delle posizioni giuridiche inerenti il procedimento penale n. 2370/2011 R.G.N.R. nei confronti di Massimo Cialente di Pier Paolo Visione, Massimo Cinque e Vincenzo Vittorini.

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Atto di opposizione

L’Avv. Fabio Alessandroni, nella qualità di difensore di fiducia dell’“ASSOCIAZIONE 309 MARTIRI DELL’AQUILA” nonché dei Signori VITTORINI Dott. Vincenzo, CINQUE Dott. Massimo e VISIONE Dott. Pier Paolo, i quali sottoscrivono e ratificano ad ogni effetto di legge il presente atto,

propongono e dichiarano opposizione

avverso la richiesta di archiviazione del sopra indicato procedimento penale, formulata in data 31.01.2013 dal Pubblico Ministero Dott. Fabio Picuti, cui perviene sulla scorta di un duplice ordine di motivi.

In primo luogo, il P.M. rileva che “non emergono profili da cui desumere la sussistenza dell’elemento psicologico doloso del reato contestato, poiché risulta che l’amministrazione comunale si era comunque attivata per la predisposizione di un piano di emergenza (il “Modello d’Intervento” era stato approvato con deliberazione del Consiglio Comunale di L’Aquila n. 14 del 22.01.2009). L’inefficacia del piano di emergenza, la sua genericità e la scarsa divulgazione attengono ad aspetti di natura, semmai, colposa estranei alla natura del reato contestato e che coinvolgono profili di responsabilità gestionale/amministrativa e non penale”.

Prima ancora di procedere ad una puntigliosa critica della motivazione addotta nei termini che precedono, sarà bene rammentare che gli esponenti formalizzavano alla Procura della Repubblica dell’Aquila la seguente richiesta:

“lo svolgimento di indagini onde accertare se, nei fatti medesimi, siano o meno ravvisabili condotte penalmente rilevanti in capo a tutti coloro che, investiti di cariche e di funzioni pubbliche, come il Sindaco della Città dell’Aquila, l’Assessore Regionale e Comunale alla Protezione Civile, i dirigenti, i funzionari e i dipendenti comunali, componenti della Struttura Comunale di Protezione Civile, quali titolari di posizioni di garanzia verso i propri concittadini, siano venuti meno all’assolvimento di doveri di tutela dell’incolumità pubblica e dei singoli individui, omettendo di assumere atti e provvedimenti giuridicamente doverosi nel corso dello sciame sismico che colpì la città dell’Aquila dal mese di ottobre dell’anno 2008 e fino alla scossa devastante del 6 aprile 2009, così cagionando, in cooperazione colposa tra gli stessi, il decesso di 309 persone ed il ferimento di numerose altre. Condotte protrattesi sino alla data odierna, in assenza di un concreto ed effettivo Piano Comunale di Protezione Civile”.

Sicché, appare di immediata percezione l’erronea qualificazione giuridica che il P.M. assegna al fatto denunciato.

Difatti, l’autorità inquirente muove dalla configurazione della fattispecie di reato p. e p. dall’art. 328 c.p. (omissione di atti d’ufficio) per sottolineare l’impossibilità di valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo, posto che l’amministrazione comunale si era comunque dotata in data 22.01.2009 (e quindi due mesi prima del sisma devastante del 6 aprile) di un “piano di emergenza”.

Tuttavia, il P.M., titolare esclusivo del potere di sussumere i fatti denunciati all’interno delle fattispecie generali ed astratte previste dal codice penale, approda nelle sue stesse conclusioni ad una diversa tipologia di reato: quella colposa (“L’inefficacia del piano di emergenza, la sua genericità e la scarsa divulgazione attengono ad aspetti di natura, semmai, colposa).

In effetti, l’esposto presentato ipotizzava (e non “contestava”, visto che la contestazione attiene a momento valutativo esclusivo dell’inquirente) una colpevole condotta:
1) in primo luogo del Sindaco Massimo Cialente, quale Autorità locale di Protezione Civile ex art. 15 comma 3 Legge 225/92
2) dell’assessore regionale alla Protezione Civile Daniela Stati
3) dell’assessore comunale alla Protezione Civile Roberto Riga
4) e dei componenti il comitato comunale di protezione civile
tutti soggetti istituzionali che, con condotte colpose indipendenti o in cooperazione colposa, avevano contribuito a cagionare il decesso di tutti coloro che nella notte del 6 aprile 2009 trovarono la morte nelle proprie abitazioni.

E ciò proprio a causa della mancata attuazione del Piano Comunale (e Regionale) di Protezione Civile (e non di un inesistente “piano di emergenza”, di cui disquisisce il P.M., adottando una denominazione che non trova collocazione nella specialistica terminologia della protezione civile).
….omissis
L’articolo 12 della legge 265/1999 ha, come noto, trasferito al Sindaco, in via esclusiva, le competenze prefettizie di cui all’articolo 36 del Dpr 66/1981, in materia di informazione della popolazione su situazioni di pericolo o comunque connesse con esigenze di protezione civile, avvalendosi dei mezzi tecnici individuati nei piani provinciali di emergenza.

Secondo la chiarissima Circolare del Ministero dell’Interno del 3 ottobre 2001, l’importanza dei compiti riconosciuti al Comune pone quest’ultimo in una posizione di assoluto rilievo nel sistema di protezione civile, rendendo, pertanto, necessario che gli enti locali concepiscano ed organizzino la protezione civile come un servizio da erogare in via continuativa, destinandovi professionalità e risorse strumentali e finanziarie adeguate.

Appartiene, purtroppo, al notorio che la più assoluta inerzia del Sindaco di L’Aquila, dell’Assessore alla Protezione Civile comunale e di quello regionale, dei componenti la Struttura Comunale di Protezione Civile, caratterizzante la fase antecedente il 6 aprile 2009 e tuttora persistente, abbia colposamente concorso a rendere gli ignari ed inermi cittadini aquilani vulnerabili e tragicamente esposti alle mortali conseguenze del terremoto.

Eppure, recita l’incipit del punto 3 della Relazione Generale del Piano Comunale di Protezione Civile, “Il Piano Comunale di Protezione Civile individua la risposta operativa che le strutture comunali, in considerazione del ruolo affidato al Sindaco quale autorità comunale di protezione civile, sono chiamate a fornire al verificarsi di un evento calamitoso sul territorio comunale, inoltre esso individua i provvedimenti di natura preparatoria all’emergenza che le stesse strutture comunali devono adottare nel periodo ordinario”.

Difatti, si dice nell’introduzione, “L’importanza strategica della Parte Generale è resa evidente dal fatto che sostanzia buona parte delle informazioni che deve contenere il piano; inoltre essa contiene le informazioni che devono essere trasmesse prioritariamente dalla Struttura Comunale di Protezione Civile alla popolazione circa i rischi presenti sul territorio e la localizzazione delle aree di emergenza”.

In questa prospettiva, si appalesa in tutta la sua evidenza e rilevanza la condotta omissiva del Sindaco Massimo Cialente, dell’Assessore Comunale alla protezione Civile Roberto Riga, dei dirigenti e funzionari comunali componenti la Struttura Comunale di Protezione Civile (responsabile: Ing. Mario Di Gregorio; componenti il gruppo di lavoro: Geom. Giuseppe Abrusca Salvatori, Geom. Luca Pelliccione, Geom. Croce Rotolante, Geom. Fabio Vallese, Geom. F. Moretti, Geom. L. Placidi), i quali avrebbero dovuto adottare (o consigliare l’adozione di) tutti quegli atti e provvedimenti doverosi di tutela della pubblica incolumità che, in toto disattesi, hanno di contro condotto alla strage del 6 aprile 2009.

Del resto, basti considerare, per comprendere meglio la rilevanza delle condotte omesse, quanto organizzato, in occasione del preoccupante sciame sismico che ebbe a colpire nel corso del 2010 la zona dell’Alta Valle dell’Aterno, dal Comune di Montereale e da quelli limitrofi, con l’allestimento di aree di prima accoglienza per la popolazione debitamente informata sui comportamenti da attuare.

“Prova provata” di quanto il Comune di L’Aquila e la sua Struttura di Protezione Civile avrebbero dovuto porre in essere prima di quel tragico 6 aprile di due anni fa.

Difatti, se analogo comportamento fosse stato adottato dai soggetti istituzionali e non, destinatari del presente esposto, piace pensare che anche una sola vita risparmiata a quella strage sarebbe stato esempio di impegno civile per la tutela della pubblica incolumità.

Altresì considerando che, dopo la tremenda scossa, nessun cittadino aquilano poté fare doveroso affidamento sulla predisposizione di vie di fuga e sull’apprestamento dei luoghi di prima accoglienza ove potersi radunare e ricevere generi di conforto ed informazioni corrette sull’evento.

Per ore ed ore, la cittadinanza aquilana si è riversata su spazi aperti, individuati senza alcun criterio guida che pure il Comune avrebbe dovuto impartire, privata della benché minima assistenza, soprattutto a danno delle fasce più deboli della popolazione.

Giova ribadire che ulteriore omissione penalmente rilevante in capo al Sindaco e agli organi comunali così come sopra individuati, concerne la mancata divulgazione in favore della popolazione della localizzazione delle Aree di attesa, di ricovero e di accoglienza, di ammassamento, di stoccaggio; informazioni doverose ed essenziali dopo oltre quattro mesi di sciame sismico.

Omissione di doverose comunicazioni che è tuttora persistente; sicché la popolazione aquilana tutta continua e continuerà a restare tragicamente abbandonata al proprio destino!!

Quel che ha caratterizzato le condotte di quei soggetti, da prima del 6 aprile 2009 e a tutt’oggi, può ascriversi al totale disimpegno sociale, alla pervicace oscitanza organizzativa, alla disastrosa superficialità politica.

Sia sufficiente considerare che il Comune sembrerebbe essere pervenuto all’approvazione della delibera relativa all’aggiornamento del fantomatico Piano di Protezione Civile e del relativo Modello d’Intervento solo il 23 maggio 2011 (dopo oltre due anni dal sisma!).
Atti amministrativi che rimangono, tuttavia, privi di contenuti pratici per la popolazione aquilana, (che continua ad essere…) sempre più disorientata e, soprattutto, disinformata.

Sulla scorta di quanto precede, non può francamente ritenersi che la caratterizzazione colposa, riconosciuta dallo stesso P.M. ai fatti e alle condotte contestate, risulti estranea alla natura del reato contestato, coinvolgenti al più “profili di responsabilità gestionale/amministrativa e non penale”.

La valutazione del P.M. appare priva di pregio giuridico, posto che la rilevanza penale della condotta del Sindaco in ordine alla mancata attuazione e divulgazione (non rileva la semplice inefficacia e/o genericità di cui discorre il P.M.) del Piano comunale di Protezione Civile (e non, sarà bene ribadirlo, di un “piano di emergenza”) è stata di recente ribadita dal noto arresto n.16761 della IV Sezione penale della Corte di Cassazione dell’11.03.2010 (deposito del 3.5.2010), riferita al disastro di Sarno del 5.5.1998.

Gioverà rammentare che, chiamato il Sindaco di quel Comune, quale autorità locale di protezione civile, a rispondere di cooperazione in omicidio colposo plurimo “per aver cagionato la morte di 137 persone per colpa generica e per la violazione del piano di protezione civile del Comune di Sarno, approvato il 12 luglio 1995, dell’art. 15 commi 3 e 4 della legge 22 febbraio 1992 n. 225 nonché della relativa direttiva applicativa del Presidente del Consiglio dei Ministri, dipartimento della protezione civile, del dicembre 1996”, i giudizi di primo e secondo grado si concludevano con sentenza assolutoria.

Il verdetto della Corte di Appello di Salerno veniva però severamente censurato dalla Corte di Cassazione che annullava con rinvio alla Corte territoriale napoletana, argomentando in maniera convincente sui doveri che la legge 225/92 attribuisce al Sindaco in materia di protezione civile.

Basterà leggerne alcuni passaggi per convincersene:
“Con l’ingresso delle attività di previsione delle varie ipotesi di rischio nelle attività di protezione civile l’obbligo di prevedere i rischi è entrato a pieno titolo tra i compiti delle pubbliche amministrazioni alle quali sono attribuiti compiti in materia di protezione civile. Ne sono espressione i compiti di previsione attribuiti agli organi centrali della protezione civile previsti dagli artt. 4, 8 e 9 della l. 225 del 1992 nonché, per quanto riguarda enti locali ed organi decentrati delle amministrazioni centrali, i compiti di previsione attribuiti alle regioni (art. 12 comma 2) e al prefetto (art. 14 comma 1).
Ai comuni questa attività di previsione verrà espressamente attribuita dalla legge dall’art. 108 lett. c) n. 1 del d. lgs. 31 marzo 1998 n. 112 ma già la direttiva Barberi aveva previsto, tra le attività preparatorie, compiti di previsione degli eventi disastrosi” (pag. 84).

Dovendosi in questa sede discorrere necessariamente di rischio sismico, la cui “previsione probabilistica” è oramai codificata dalla stessa comunità scientifica internazionale (a differenza della ben diversa “predizione deterministica”), si pone dunque il problema di comprendere sulla scorta di quali criteri valutare se un evento causalmente riconducibile alla violazione di una regola cautelare sia o meno prevedibile.

Soccorre sul punto l’arresto della IV Sezione penale che sgombera il campo da ogni possibile interpretazione richiamando la corposa giurisprudenza di legittimità, in particolare la sentenza n. 4793 del 6.12.1990, riferita al disastro di Stava, secondo cui: “ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione”.

Conclusioni successivamente ribadite, sempre dalla IV Sezione penale, con le sentenze n. 5919 del 31.10.1991 (Rezza, rv. 191809) e n. 5037 del 30 marzo 2000 (Camposano, rv. 219423-8).

In ossequio agli argomenti sopra richiamati, la sentenza n. 16761 del 2010 perveniva ad una serie di principi di diritto, alcuni dei quali meritano particolare attenzione per i fini che interessano in questa sede:
1) il giudizio di prevedibilità dell’evento dannoso – necessario perché possa ritenersi integrato l’elemento soggettivo del reato sia nel caso di colpa generica che in quello di colpa specifica – va compiuto, nel caso di eventi naturali o di calamità che si sviluppino progressivamente, tenendo conto della natura e delle dimensioni di eventi analoghi storicamente già verificatisi ma valutando altresì se possa essere esclusa la possibilità che questi eventi possano avere dimensioni e caratteristiche più gravi o addirittura catastrofiche
2) il giudizio di prevedibilità dell’evento dannoso va compiuto con l’utilizzazione del criterio dell’agente modello (homo eiusdem professionis et condicionis) quale agente ideale in grado di svolgere al meglio il compito affidatogli; in questo giudizio si deve tener conto non solo di quanto l’agente concreto ha percepito ma altresì di quanto l’agente modello avrebbe dovuto percepire valutando anche le possibilità di aggravamento di un evento dannoso in atto che non possano essere ragionevolmente escluse
3) La prevedibilità dell’evento dannoso, ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, va compiuto utilizzando anche le leggi scientifiche pertinenti, se esistenti; in mancanza di leggi scientifiche che consentano di conoscere preventivamente lo sviluppo di eventi naturali calamitosi l’accertamento della prevedibilità dell’evento va compiuto in relazione alla verifica della concreta possibilità che un evento dannoso possa verificarsi e non secondo criteri di elevata credibilità razionale (che riguardano esclusivamente l’accertamento della causalità) ferma restando la distinzione con il principio di precauzione che prescinde dalla concretezza del rischio
4) L’addebito soggettivo dell’evento dannoso richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (c.d. comportamento alternativo lecito) non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato.

Principi di diritto che conducevano ad una severa condanna a 5 anni di reclusione del Sindaco di Sarno da parte della Corte di Appello di Napoli con la sentenza n. 5996 del 20.12.2011 (deposito del 16.03.2012).

A questo punto, si tratta di verificare l’applicabilità dei predetti principi alla condotta posta in essere dal Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente (e di tutti gli altri soggetti istituzionali menzionati nell’esposto e su cui si pretendeva lo svolgimento di indagini, il cui operato è stato a contrario del tutto sottaciuto).

Ai fini della predetta indagine, dovranno essere considerati i seguenti elementi:
a) persistenza dello sciame sismico: a far tempo dal giugno 2008 L’Aquila ed il suo territorio venivano interessati da uno sciame sismico che, nel solo trimestre gennaio-marzo 2009, registrava oltre duecento scosse, la maggior parte delle quali percepite nettamente dalla popolazione, sempre più impaurita e disorientata dalle notizie contraddittorie che venivano divulgate su quotidiani ed emittenti locali
b) incremento della magnitudo: in data 30.03.2009, alle ore 15,38, veniva registrata una scossa di magnitudo 4,1 della Scala Richter, che provocava molto spavento nella popolazione aquilana, in particolare quella del centro storico, riversatasi nelle piazze e negli spazi aperti della città
c) pericolosità sismica: appartiene al notorio istituzionale che L’Aquila sia caratterizzata da una pericolosità sismica che la colloca in fascia 2
d) storicità sismica: nel corso dei secoli la città è stata interessata da terremoti devastanti che con periodi di ritorno pari a circa 345-50 anni ne è stata puntualmente attinta
e) vulnerabilità del patrimonio edilizio: apparteneva al notorio istituzionale, almeno dal 1999 e fino al 2005, che il patrimonio edilizio della città risultasse particolarmente vulnerabile, come da conclusioni tratte dal rapporto Barberi del 1999 e dagli studi condotti dalla società Abruzzo Engineering nel triennio 2002-2005
f) estensione e origine medioevale del centro storico: è noto anche che l’estensione del centro storico aquilano è pari a circa 23 ettari, caratterizzato da costruzioni in muratura di origine medioevale
g) elevata presenza di studenti universitari fuori sede (e quindi non abituati al terremoto)

Orbene, la valutazione dei predetti elementi consente di ritenere, con ragionevole certezza e soprattutto alla luce degli arresti della IV Sezione Penale (dal disastro di Stava fino a quello di Sarno), che il Sindaco, in forza del ruolo attribuitogli dall’art. 15 della Legge 225/92, avrebbe potuto e dovuto dare attuazione e divulgazione al Piano Comunale di Protezione Civile.

Che non significa disporre l’evacuazione della città in vista di un terremoto impossibile da predire in maniera deterministica ma, molto più semplicemente, allestire quelle aree di accoglienza che avrebbero consentito, soprattutto agli abitanti del centro storico e agli studenti universitari, ed alla popolazione tutta, di riparare prudentemente nelle aree attrezzate.

Ove si fosse data attuazione concreta ad un piano di protezione civile di cui lo stesso P.M. afferma l’esistenza, è altamente verosimile ritenere che anche una sola persona salvata avrebbe valorizzato il corretto operato del Sindaco quale “comportamento alternativo lecito”.

Di contro, l’aver approvato un modello d’intervento, rimasto inattuato e non divulgato, ha posto le basi per un giudizio di disvalore penale, alla luce di quanto accaduto, tenuto conto di tutti quegli elementi che il Sindaco era obbligato a conoscere.

Sarà bene rammentare che il modello d’intervento citato prevede, come ampiamente chiarito in precedenza, l’attuazione dello stesso in presenza di un evento “anche di minima intensità”, sicché nessuna valutazione discrezionale poteva essere rimessa in capo al Sindaco quale soggetto titolare del potere/dovere di tutelare l’incolumità dei pubblici cittadini.

Il secondo argomento che il P.M. evidenzia per affermare l’insussistenza di profili di penale rilevanza nell’operato del Sindaco attiene al semplice ruolo di “uditore” e di “diffusore” delle notizie apprese dai componenti della Commissione per la previsione e la prevenzione dei Grandi Rischi, riunitasi a L’Aquila il 31.03.2009, poi condannati a 6 anni di reclusione.

In altri termini, secondo il P.M., alla luce delle informazioni rassicuranti diffuse dal supremo consesso scientifico, il Sindaco non avrebbe potuto fare altro che tranquillizzare, a sua volta, la popolazione aquilana.

Insomma, dice il P.M., se anche gli scienziati ignoravano la possibilità che si verificasse un terremoto che avrebbe provocato oltre 300 morti, come poteva il Sindaco Cialente – che svolgeva l’attività di medico pneumologo – disporre di quelle conoscenze specialistiche necessarie che neppure gli scienziati esperti di sismologia hanno dimostrato di avere?

La risposta non la daremo noi ma la affideremo, ancora una volta, al dictum della sentenza n. 16761 della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione che, nell’affrontare un analogo dubbio palesato sugli eventi di Sarno, così rispondeva:
“questa non costituisce una giustificazione ma, al contrario, una conferma dell’addebito soggettivo.
Se di un fenomeno naturale (o anche cagionato dall’uomo) non si conoscono le caratteristiche fondamentali – in particolare le cause, le possibilità di evoluzione, gli effetti possibili – la cautela che occorre usare nell’affrontarlo per eliminarne o ridurne le conseguenze deve essere ancor maggiore proprio perché non si possono escludere, con valutazione ex ante fondata su conoscenze scientifiche affidabili, gli effetti maggiormente distruttivi” (pag. 92).

Ne consegue che, nonostante le rassicurazioni fornite dagli esperti della Commissione Grandi Rischi, il Sindaco avrebbe dovuto in ogni caso dare attuazione a quanto deliberato già in data 22.01.2009 fornendo alla popolazione la dovuta e tempestiva informazione sulla individuazione delle aree di attesa e di accoglienza, sui percorsi da seguire in caso di evento grave e su tutto quel che impone il modello d’intervento.

Appare, se possibile, ancora più riprovevole l’aver approvato un piano di protezione civile poi rimasto inattuato; del resto, gli obblighi normativamente incombenti sul Sindaco attenevano (così come attengono) alla esecuzione ed alla divulgazione del piano che, nel caso di specie, sono stati completamente omessi, con conseguente violazione colposa delle regole cautelari loro imposte.

Ma v’è di più.

Nel corso della sua escussione nel processo ai componenti della Commissione Grandi Rischi, il Sindaco Cialente affermava di non essere stato affatto rassicurato da quegli esperti, tanto da richiedere il giorno successivo, 1.4.2009, la dichiarazione dello stato di emergenza.

Nessun rilievo è stato conferito dal P.M. alla rilevante circostanza, dirimente per confutare il secondo argomento speso per supportare la richiesta di archiviazione: invero, il Sindaco uscì dalla riunione del 31.03.2009, se possibile, ancor più preoccupato (come di vedrà più avanti) sicché:
1) avrebbe dovuto, in forza degli obblighi imposti dall’art. 15 comma 3 della Legge 225/92, dare attuazione immediata al Piano comunale di Protezione Civile (approvato in data 22.01.2009)
2) avrebbe dovuto fornire tutte le informazioni alla popolazione, così come prescritto dall’art. 12 della Legge 265/99

Di particolare valenza le seguenti affermazioni del Sindaco Cialente:
• sul persistente stato d’ansia della cittadinanza: Avevo una popolazione preoccupata ed angosciata, questo era una mia preoccupazione (pag. 270 del verbale di udienza 7.12.2011 – processo Commissione Grandi Rischi)
• sulla richiesta dello stato di emergenza: …programmare lo stato di emergenza vuol dire che qualcuno, bene o male, veniva e cominciava a seguire l’emergenza (come se l’attività di protezione civile riguardasse terzi e non il Sindaco stesso…pag. 271)
• sulla omessa informazione alla popolazione del piano di protezione civile: La mia (nds: amministrazione) non l’aveva fatto (pag. 280)
• sulla consapevolezza della vulnerabilità del patrimonio edilizio e sull’omessa richiesta di informazioni al riguardo: Io non l’ho chiesto sicuro né ricordo sia stato chiesto (pag. 293)
• sulla pericolosità dell’Aquila: …di quella riunione ricordo un solo intervento in cui si disse: “Questa è la zona più pericolosa d’Italia…tanto arriva, preparatevi da un punto di vista…anche come istituzione” (pag. 296)
• sulla conclamata mancata conoscenza della funzione preventiva del piano di protezione civile (aspetto particolarmente inquietante!) alla domanda del Giudice: Questo piano, mi corregga se sbaglio, presuppone l’evento calamitoso concretizzatosi, no? Risposta del Sindaco: Certo (pag. 294) e poi ancora: Se ci si deve preparare ad un evento che si presume sia quello che poi è capitato a noi, ci si prepara in un solo modo, prendendo tutti gli edifici e facendo interventi di consolidamento, messa in sicurezza. E’ quello che io il giorno dopo feci, perché avevo delle suole non sicure per cui dovevo..l’unico intervento che si può fare rispetto al rischio sismico è quello di stare in una scatola sicura (pag. 296)

Ma, come già anticipato, il sigillo indelebile sulla condotta gravemente colposa del Sindaco e dell’assessore comunale alla protezione civile in merito alla mancata attuazione e divulgazione del Piano Comunale, condotta efficiente sul piano causale rispetto alle morti registrate nella notte del 6 aprile 2009, si rinviene nella risposta fornita dal Sindaco alla domanda del Giudice: Lei era allarmato, se non ho capito male, prima di andare alla riunione della Commissione Grandi Rischi, penso che era preoccupato come Sindaco. Questa sua percezione del rischio della situazione che stava vivendo la città di L’Aquila, ha avuto quelle modificazioni all’esito delle sua partecipazione della riunione della Commissione Grandi Rischi o è rimasta immutata?

La risposta del Sindaco: Assolutamente immutata (pag. 298).

Ne segue che il Sindaco avrebbe (potuto e) dovuto attuare il Piano Comunale di Protezione civile perché esistente già dal 22.01.2009.

Purtroppo, tutto ciò non è avvenuto, con le conseguenze che oramai sono oramai universalmente note.

Di particolare rilevanza, poi, in merito ai violati obblighi di informazione, la testimonianza resa nel predetto dibattimento, conclusosi con sentenza di condanna dei componenti la Commissione Grandi Rischi, dal caporedattore del quotidiano Il Centro Giustino Parisse che, nel corso di una conversazione telefonica con l’Assessore comunale alla Protezione civile Roberto Riga, alla domanda del perché il Comune non informasse la popolazione, si sentiva rispondere che non si poteva dare corso all’attività informativa perché si sarebbe potuta allarmare la popolazione…

Il P.M. richiede l’archiviazione senza aver svolto alcuna approfondita indagine investigativa, essendosi limitato all’acquisizione di una mera delibera di Consiglio Comunale che, a ben vedere ed a dispetto di quanto ritenuto dal P.M., si pone quale prova a carico.

Avrebbe potuto e dovuto ascoltare il Sindaco Cialente, l’Assessore Riga e tutti coloro che componevano il Comitato Comunale di Protezione Civile.

Avrebbe potuto e dovuto, ben conoscendo gli atti del processo alla Commissione Grandi Rischi, acquisire copia dei verbali delle testimonianze rese dal Sindaco Cialente e dal Parisse.

Avrebbe potuto e dovuto sentire il Sindaco e l’Assessore sui fatti resi pubblici dal Parisse.

Appare inconfutabile che, alla luce dei molteplici argomenti sia in fatto che in diritto offerti, la richiesta di archiviazione debba essere disattesa, imponendo al P.M. la formulazione dell’imputazione per cooperazione colposa in omicidio plurimo e lesioni ovvero, in subordine, lo svolgimento delle indagini come sopra evidenziate.

Con ossequio.

Avv. Fabio Alessandroni

Avv. Fabio Alessandroni


26 Giugno 2013

Categoria : Cronaca
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