Ma davvero crediamo di poter fare del turismo attraente?
L’Aquila – (di G.Col.) – Basta leggere i giornali. Da una parte apprendi che sulla spiaggia di Giulianova stazionava una strana schiuma biancastra come le tette delle streghe, e nessun ente, nessuna autorità , nessun cervellone vigilante sente il dovere di spiegare e rassicurare i residenti, gli operatori commerciali, i turisti. E’ come se ci fosse una congiura del silenzio, calata sull’informazione a cupola, che deve restare in attesa che tutti se ne dimentichino. L’acqua che puzza Pineto, del resto, non è da meno: da cosa e da chi dipenderà , non lo sapremo mai. La consegna è il silenzio. Addà passa ‘a nuttata…
Un silenzio che nessuna mordacchia (ce ne sono di vellutate, silenziose ma potenti) ha potuto imporre alla diffusione dei dati sulle condizioni pietose del mare abruzzese, il meno balneabile dell’Adriatico (o d’Italia?). Un mare che riceve rifiuti a tonnellate tutto l’anno, da depuratori a monte che non hanno mai funzionato, o funzionano male, senza risorse, senza personale, senza controlli, senza riparazioni.
I sindaci masticano amaro, gli operatori balneari sprizzano veleno, e hanno ragione. Una rivelazione simile alla vigilia della stagione, è come uno tsunami. Ma tenere tutto nascosto servirebbe di più? Magari risolvere il problema, questo servirebbe…
Del resto, per 30 anni i silenzi più compiacenti hanno tenuto un greve velo sulla discarica tossica ad un metro sotto terra, presso Bussi. La più grande d’Europa, che attende bonifica, peraltro. I veleni sono lì, l’acqua del fiume e le falde sotterranee pure.
Se pensiamo ai tre anni necessari per togliere qualche sasso lungo la stradina per l’eremo di Celestino, al Morrone, tutto ciò appare spigabile e coerente con l’abruzzesità , con questa regione che non riesce a stabilire i confini del Parco della costa teatina (tra le più belle dell’Adriatico, intrisa di natura, cultura, letteratura e monumenti insigni), che non ha una legge sulle foreste (è l’unica in Italia), ma ha però un patrimonio forestale tale, da indurre dei ciarloni enfatici a parlare di “regione verde d’Europa”. Oggi verde, spesso, ma di rabbia. O come il veleno che sta uccidendo a decine gli animali protetti nelle riserve. Nelle aree protette… complimenti per questa definizione, è impagabile: protette.
Del resto, il turismo abruzzese offre quasi ovunque prezzi alti, prestazioni che a qualcuno sembrano raccogliticce, ristoranti che negano menu e ricevute fiscali (un oltraggio chiederli), caos, assenza di parcheggi e servizi, traffico forsennato, nessun turno per le prestazioni essenziali tipo banca, elettauto e gommista, e un’infinità di polemiche sulle aperture domenicali dei centri commerciali. Che meraviglia: per decenni tanti sono ingrassati mentre proliferavano come un’infezione epidemica, decine, centinaia, la più alta concentrazione in Italia… era ora qualcuno non vuolle che offrano il servizio più amato dalla gente. L’apertura festiva. Vai a capire.
Monumenti, chiese, aree archeologiche mal tenute o chiuse, la chiave da chiedere ad un vecchietto per visitare la chiesa che c’è sui libri di storia dell’arte. Nessuna iniziativa estiva per gite dal mare all’interno, visite archeologiche, deboli e obsolete saghe di paese in cui il massimo dell’emozione è un arrosticino. O la festa dei “rumorosi”, cioè i fagioli. Che stile.
Stendiamo un velo pietoso sul turismo invernale, per amor di patria e anche un po’ di vergogna. Ne parleremo in un altro capitolo, ora c’è l’afa.
In queste condizioni crediamo di poter fare turismo attraente? Pensiamone un’altra: studiamo un premio per chi ci sceglie e viene da noi. Lo fa perchè l’Abruzzo è bellissimo, la gente tutto sommato buona, la cucina emozionante, il vino ottimo. Ma lasciamo andare il turismo pensato, organizzato, programmato, affidato a specialisti e professionisti. Per quello, avanti verso Nord, c’è un posto che si chiama Romagna.
L’ultima e poi chiudiamo: qualcuno è riuscito a sapere cosa c’era nei fondali del lago di Scanno? Forse sì. Non certo gli abruzzesi. Pietoso, sulla storia (sicuramente irregolare da qualche parte), è sceso il silenzio. A fine ’800 lo chiamavano oblio.
Non c'è ancora nessun commento.