Perchè per Guido Bertolaso c’è una responsabilità per dolo eventuale?
L’Aquila – Per rispondere alla domanda del titolo, “Perché per Bertolaso c’è una responsabilità per dolo eventuale?”, e per far capire a tutti i nostri lettori cosa sta per essere deciso, a giorni, presso il Tribunale del’Aquila, pubblichiamo integralmente le note di udienza in camera di consiglio presso Tribunale dell’Aquila, con GIP Giuseppe Romano Gargarella, dell’Avv. Stefano Parretta.
L’Avv. Stefano Parretta è il difensore del Dott. Pier Paolo Visione, persona offesa per la morte della sorella e di due nipoti, nel procedimento riferito alla richiesta di archiviazione delle posizioni di Bertolaso Guido e Stati Daniela presentata dal Pubblico Ministero Fabio Picuti, ed ha cercato di argomentare “in diritto”, nella giornata dell’11 giugno, ciò che alla luce dei fatti storici sembra del tutto evidente.
Tra pochi giorni sono attese le decisioni del GIP Gargarella in merito alla definitiva archiviazione o alla definizione di un processo coatto nei confronti di Bertolaso e Stati.
NOTE DI UDIENZA A SOSTEGNO DEL RIGETTO DELLA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
I – Premessa
Come è noto il presente procedimento è legato al verificarsi di una forte scossa di terremoto a L’Aquila nella notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009, a causa della quale morirono 309 persone, schiacciate sotto il peso delle proprie case, nelle quali erano rimaste.
Fatti legati a un territorio nel quale si verificavano scosse sismiche dal oltre 5 mesi, nell’ultimo mese una o due scosse al giorno con forza crescente sino alla scossa della fine di marzo 2009 con magnitudo superiore a 4.
La venuta della Commissione Grandi della Protezione Civile rischi a L’Aquila ha rappresentato un fatto molto importante per la popolazione dell’Aquila che in quei giorni era molto allarmata, e che ha concorso i maniera decisiva a determinare i comportamenti della stessa in relazione alle frequenti e crescenti scosse di terremoto.
Deve essere subito evidenziato che tale riunione della Commissione Grandi Rischi non era “causuale”, ma era, con tutta evidenza, la messa in atto di una elaborata e consapevole operazione scientifica di comunicazione di massa, pianificata e messa in pratica secondo i dettami, le regole e i postulati che presiedono a tale scienza informativa (nel caso di specie disinformativa).
Vengono, infatti, chiamati a parlare i massimi esponenti nazionali in materia di terremoti e vulcanologia (alta credibilità della fonte del messaggio), lo fanno sul posto direttamente a contatto con la popolazione (vicinanza al “target”) per amplificare gli effetti del messaggio rassicurante e tranquillizzante, e far sì che il messaggio raggiunga il maggior numero di persone con il maggior effetto rassicurante possibile. Si assiste quindi alla attuazione del paradigma della Comunicazione di massa: Fonte o emittente, Trasmittente o codifica del messaggio/segnale, decodifica del Ricevente/Target, eventuali feedback del ricevente all’emittente: risultato modifica del comportamento.
A seguito della emersione del contenuto di una telefonata tra l’allora Capo della Protezione Civile Nazionale (Bertolaso) e l’assessore regionale della Protezione Civile (Stati) a margine del noto procedimento penale a carico dei componenti la Commissione (253/10 R.G.N.R.), ed a seguito delle denunce dei parenti delle vittime, veniva aperto il presente procedimento teso a verificare le eventuali responsabilità di soggetti istituzionali in ordine alla predeterminazione delle conclusioni e dei contenuti delle informazioni da dare alla popolazione ed agli organi di stampa. Successivamente alla riunione della Commissione Grandi Rischi.
I Pubblici Ministeri procedenti (si badi, i medesimi del Procedimento 253/10 R.G.N.R.) in data 14 febbraio 2013, hanno tuttavia, inopinatamente avanzato alla S.V. richiesta di archiviazione, in quanto, in sintesi, ad avviso della Procura:
A) in relazione alla Posizione Bertolaso, 1) lo stesso avrebbe fornito nel corso della sua deposizione (ex art. 210 c.p.p.) una lettura alternativa del contenuto della telefonata citata e delle sue responsabilità, dando “puntuali spiegazioni”, 2) lo stesso non era presente alla riunione della Commissione sicché non avrebbe fornito “alcun contributo causalmente rilevante alla formazione del contenuto e dell’esito della riunione”, 3) nel nostro ordinamento non esisterebbe la figura del “mandante colposo”;
B) in relazione alla posizione Stati 1) ella sarebbe stata “invitata” (insieme al Sindaco) quale mero “uditore” della riunione e, 2) al più quale mero latore sul territorio dell’esito della riunione, sicchè 3) non avrebbe fornito “alcun contributo causalmente rilevante alla formazione del contenuto e dell’esito della riunione”.
Ebbene, non vi é chi non veda come tutte dette argomentazioni siano totalmente non condivisibili, sotto svariati profili, sia in punto di fatto, sia in punto di diritto.
II – Legittimità ed ammissibilità della opposizione
In primo luogo non appare del tutto superfluo ricordare le statuizioni della Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, con cui si è affermata e ribadita la ammissibilità della presentazione della opposizione (alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero) da parte della Persona Offesa che, benché non avesse preventivamente richiesto di voler essere avvisata ex art. 408 c.p.p., ma che abbia comunque avuto aliunde cognizione delle intenzioni del P.M., purché l’atto di opposizione intervenga prima della decisione da parte del Giudice.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno infatti stabilito che « La dichiarazione della persona offesa di voler essere informata circa l’eventuale archiviazione, come previsto dall’art. 408, comma 2, c.p.p., può essere anche successiva alla comunicazione della notizia di reato ma, per comportare l’obbligo, da parte del Pubblico Ministero, di far notificare l’avviso alla richiesta di archiviazione, deve necessariamente precedere la formulazione di tale richiesta, fermo restando che, qualora la persona offesa ne sia comunque venuta a conoscenza, essa ha pur sempre il diritto, finchè non sia intervenuta la pronuncia del giudice, di proporre opposizione ai sensi dell’art. 410 c.p.p.», (Cass. Sez. Un. 30-06-2004 n. 29477 Rv. 228005, Parti, Apruzzese).
Mentre in altra occasione si è espressamente affermato che «In tema di chiusura delle indagini preliminari, la persona offesa che non abbia fatto richiesta di ottenere la notifica dell’eventuale richiesta di archiviazione avanzata dal p.m. può comunque, una volta venuta a conoscenza dell’esistenza della richiesta, presentare opposizione al gip, ai sensi dell’art. 410 c.p.p. (Cass., sez. V, 29-05-2002, Parti: Cattafi, Fonti: Ced Cass., rv. 222339; nello stesso senso anche Cass., sez. III, 23-05-1997, Parti: Sbrighi, Fonti: Ced Cass., rv. 208812 nonché Cass., sez. VI, 08-05-1996, Parti: Fiordalisi, Fonti: Ced Cass., rv. 205771).
Si ritiene, quindi, che legittimamente, la persona offesa, abbia presentato atto di opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero.
III – I Fatti
E’ possibile partire dal dato di fatto per cui il procedimento di primo grado ha statuito che i componenti la Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile riunitasi a L’Aquila in data 31.03.2009 con “l’obbiettivo di fornire ai cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili alla comunità scientifica sull’attività sismica delle ultime settimane”;
per colpa consistita in negligenza imprudenza, imperizia;
in violazione di Legge (degli artt. 2, 3, 9 Legge n. 225 del 24.02.1992, degli artt. 5 e 7 bis Legge n. 401 del 09.11.2001, dell’art. 4 Legge n. 21 del 26.01.2006, dell’art. 3 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 23582 del 03.04.2006);
in violazione altresì della normativa generale della Legge n. 150 del 7 giugno 2000 in materia di disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni;
effettuando, in occasione della detta riunione, una “valutazione dei rischi connessi” all’attività sismica in corso sul territorio aquilano dal dicembre 2008 approssimativa, generica ed inefficace in relazione alle attività e ai doveri di “previsione e prevenzione”;
fornendo, in occasione della detta riunione, sia con dichiarazioni agli organi di informazione sia con redazione di un verbale, al Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, all’Assessore Regione Abruzzo alla Protezione Civile, al Sindaco dell’Aquila, alla cittadinanza aquilana, informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, sulle cause, sulla pericolosità e sui futuri sviluppi dell’attività sismica in esame, in tal modo vanificando le finalità di “tutela dell’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi che determinino situazioni di grave rischio”, affermando che sui terremoti “non è possibile fare previsioni”, “è estremamente difficile fare previsioni temporali sull’evoluzione dei fenomeni sismici”, “la semplice osservazione di molti piccoli terremoti non costituisce fenomeno precursore” e al contempo l’esatto contrario ovvero “qualunque previsione non ha fondamento scientifico”; ritenendo che “i forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi. Improbabile il rischio a breve di una forte scossa come quella del 1703, pur se non si può escludere in maniera assoluta”;
ritenendo che “non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento”; rilevando che “le registrazioni delle scosse sono caratterizzate da forti picchi di accelerazione, ma con spostamenti spettrali molto contenuti di pochi millimetri e perciò difficilmente in grado di produrre danni alle strutture, c’è quindi da attendersi danni alle strutture più sensibili alle accelerazioni quali quelle a comportamento fragile”; qualificando lo sciame sismico che interessa L’Aquila da circa tre mesi come un normale fenomeno geologico; esso “si colloca diciamo in una fenomenologia senz’altro normale dal punto di vista dei fenomeni sismici che ci si aspetta in questo diciamo in questa tipologia di territori che poi, è centrata attorno all’Abruzzo però, ha colpito un po’ il Lazio, un po’ le Marche, oscillata diciamo nella zona del centro Italia”; affermando che allo stato attuale, non vi è pericolo, la situazione è favorevole perché c’è uno scarico di energia continuo, “non c’è un pericolo, io l’ho detto al Sindaco di Sulmona, la comunità scientifica mi continua a confermare che anzi è una situazione favorevole perciò uno scarico di energia continuo, e quindi sostanzialmente ci sono anche degli eventi piuttosto intensi, non sono intensissimi, quindi in qualche modo abbiamo avuto abbiamo visto pochi danni”; venendo così meno ai doveri di valutazione del rischio connessi alla loro qualità e alla loro funzione e tesi alla previsione e alla prevenzione e ai doveri di informazione chiara, corretta, completa;
cagionavano, in occasione della violenta scossa di terremoto del 06.04.2009 ore 3,32, la morte e il ferimento di numerose persone indotte a rimanere in casa per effetto esclusivo della condotta sopra descritta, nonostante le scosse di terremoto che si ripetessero numerose da mesi con frequenza e magnitudo crescenti, fino a quella del 6 aprile 2009 ore 03,32.
Possiamo quindi dare per assodato che le conclusioni della riunione della Commissione e le informazioni date alla popolazione hanno avuto una relazione diretta di causa – effetto rispetto al decesso ed al ferimento di numerose persone.
Ed è evidente che se dette conclusioni e la propalazione delle stesse alla popolazione aquilana, fosse, non frutto del lavoro dei tecnici in quella riunione, ma, fosse frutto di una preordinazione fatta in precedenza “a tavolino” ed a prescindere dai dati scientifici, responsabili del nesso di causalità tra (dis)informazione ed evento morte, non sarebbero solo i partecipanti alla riunione ma anche, ed in questo caso a titolo di dolo eventuale, chi quel contenuto e quella (dis)informazione ha pianificato, voluto, deliberato, e messo in atto.
VI) Inaccoglibilità della Richiesta di Archiviazione
Tutto il materiale probatorio raccolto e contenuto nel fascicolo del PM sconfessa la richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero, forse nel timore di contraddire o di indebolire la impostazione data nel procedimento della Commissione Grandi Rischi.
Lì, infatti, si è giustamente scelto di contestare una responsabilità per colpa, ovvero per la violazione di regole specifiche e di normativa generale che dovevano presiedere alla formazione delle conclusioni della riunione ed ai doveri di corretta e completa informazione da dare ai destinatari della “Protezione Civile” ovvero alle persone inermi che poi sono morte sotto il peso delle proprie case.
Nel presente procedimento, invece, da tutte le intercettazioni e da tutto il materiale acquisto emerge con tutta evidenza, una responsabilità ancor più grave in capo agli odierni indagati, una responsabilità dolosa, di chi ha previsto l’evento terremoto (e la conseguente morte di numerose persone) e ciononostante ha agito, predeterminando, la tenuta, il contenuto e gli obiettivi di quella riunione.
Si è infatti assistito ad una inversione del corretto flusso di informazioni: non fu la Commissione Grandi Rischi a fornire alla Protezione Civile i dati scientifici e le nozioni per tutelare al meglio la vita delle persone (perché è di questo che si deve occupare la protezione civile), ma fu la Protezione Civile a predeterminare e ad imporre contenuto e obiettivi della riunione alla Commissione Grandi Rischi, che si riunì a l’Aquila (per meno di un’ora, saluti e convenevoli compresi) al solo fine di “fare una cosa mediatica”.
Le intercettazioni telefoniche in atti, non solo quella tra Bertolaso e Stati (che peraltro, più chiara non potrebbe essere), gridano con tutta evidenza che la Commissione doveva solo recepire, e ratificare con la propria autorevolezza, un messaggio già deciso altrove, dal vertice del Dipartimento della Protezione Civile.
Dalle intercettazioni emerge una personalità egocentrica del Capo del Dipartimento Protezione Civile, affetta da un complesso di onnipotenza, ossessionata non dalla responsabilità e importanza del proprio compito, (lo si ripete, la protezione della incolumità fisica dei cittadini) ma dal terrore della “brutta figura”, dalle polemiche sugli organi di stampa, dai “cretini” che, ai suoi occhi, rischiano di esporlo al pubblico ludibrio.
Al sorgere di ogni problema Bertolaso ordina (anche ad organi non da lui dipendenti), un comunicato stampa, come panacea di tutti i mali. Il problema è che non si protegge la popolazione civile con i soli comunicati stampa.
Leggendo le intercettazioni in atti emerge con tutta evidenza che la Commissione Grandi Rischi è totalmente eterodiretta.
Solo chi non vuole vedere e non vuole capire si accontenta di fantomatiche “spiegazioni puntuali” che sono offensive per la intelligenza di chi le ascolta e soprattutto offensive della memoria delle persone morte sotto le macerie.
Ed allora emerge con tutta evidenza e con la forza della verità, che le motivazioni poste a base della richiesta di archiviazioni sono totalmente infondate, sia in punto di fatto che in punto di diritto.
Quanto alla posizione Stati, non è vero che ella sarebbe stata unicamente “invitata” (insieme al Sindaco) quale mero uditore della riunione al fine di fungere, al più, da latore sul territorio dell’esito della riunione.
Infatti, da un lato, emerge una sua totale adesione alla linea predeterminata dal Capo della Protezione Civile, e dall’altro sia sufficiente ricordare che la Legge istitutiva del Servizio Nazionale della Protezione Civile (L. 225/1992) prevede espressamente in capo alla regione, ed ai suo organi, precisi doveri.
Basti leggere l’art. 12 della Legge citata laddove si statuisce che: «1. Le regioni … partecipano all’organizzazione e all’attuazione delle attività di protezione civile indicate nell’articolo 3, assicurando, nei limiti delle competenze proprie o delegate dallo Stato e nel rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge, lo svolgimento delle attività di protezione civile. 2. Le regioni, nell’ambito delle competenze ad esse attribuite dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, provvedono alla predisposizione ed attuazione dei programmi regionali di previsione e prevenzione in armonia con le indicazioni dei programmi nazionali di cui al comma 1 dell’articolo 4. 3. Per le finalità di cui ai commi 1 e 2 le regioni provvedono all’ordinamento degli uffici ed all’approntamento delle strutture e dei mezzi necessari per l’espletamento delle attività di protezione civile, avvalendosi di un apposito Comitato regionale di protezione civile», per comprendere che la presenza dell’Assessore Stati (come quella del Sindaco) non era solo finalizzata ad ascoltare ma a valutare le conclusioni scientifiche della Commissione e a concorrere ad approntare, nell’ambito delle proprie competenze, i presidi più idonei ad assicurare la sicurezza della popolazione civile. Cosa che con tutta evidenza non è stata fatta.
Senza contare che vi sono, poi, altre diverse previsioni normative che disciplinano il ruolo della Regione e del relativo assessore in materia di protezione civile.
Quanto alla posizione Bertolaso, non è vero che egli non fornì “alcun contributo causalmente rilevante alla formazione del contenuto e dell’esito della riunione”, al contrario egli fu il reale artefice in toto del contenuto e degli scopi della riunione.
Quello che la Commissione concluderà e comunicherà è già tutto contenuto nella telefonata del 30.3.2009 Bertolaso/Stati: « … si e deciso di fare una riunione lì a L’Aquila …in modo da zittire subito qualsiasi imbecille, placare … li faccio venire a L’Aquila, è una operazione mediatica… loro che sono i massimi esperti in terremoti diranno: lezione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano cento scosse di scala 4 Richter piuttosto che il silenzio, perché cento scosse servono a liberare energia, e non ci sarà mai la scossa quella che fa male, hai capito !?…».
Questo è il messaggio predeterminato che ha una sua tragica credibilità agli occhi delle persone normali: una pentola a pressione che “sfiata”, che libera pressione è più sicura di una che trattiene tutta la sua micidiale potenza per scoppiare in un sol colpo.
Ma questo è un messaggio formato a tavolino, destinato a colpire la credulità popolare non certo il precipitato accademico dei massimi esperti in geologia, vulcanologia e terremoti.
Bertolaso è il dominus della Riunione, non serve che sia presente, ha deciso e ordinato in anticipo tutto, sia l’esito che la comunicazione dei risultati.
Ed allora è evidente che anche la motivazione, secondo cui nel nostro ordinamento non esisterebbe la figura del “mandante colposo” si dimostra un po’ pelosa e maliziosa, perché volutamente ignora sia l’istituto della responsabilità per dolo eventuale, sia l’istituto della cooperazione colposa del delitto previsto e regolato dall’art. 113 c.p.
V) Responsabilità per Dolo Eventuale e Giurisprudenza
Tutto quanto sopra riportato indica che il comportamento degli indagati, a differenza di quanto sostenuto dalla Pubblica Accusa, ha sicura rilevanza penale nel nostro ordinamento e deve essere ricondotto alla previsione della responsabilità per dolo eventuale.
Senza nessun intento didascalico, è necessario ripercorrere brevemente lo “stato dell’arte” in materia di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del dolo eventuale.
Dottrina e Giurisprudenza sono ormai concordi nel ritenere che vi sia dolo eventuale quando il fatto tipico realizzato non costituisce l’obiettivo diretto della condotta, né la conseguenza accessoria certa o altamente probabile, ma l’agente lo prevede come possibile ed accessoria conseguenza della condotta principale e ciononostante agisce accettando il rischio che l’evento possa verificarsi.
Allo stesso modo Dottrina e Giurisprudenza ritengono che la differenza tra dolo eventuale e colpa con previsione, o colpa cosciente, risieda in questa distinzione: si avrà il dolo eventuale quando il soggetto, pur non volendo direttamente l’evento, accetta il rischio che esso si verifichi come risultato probabile o possibile della sua condotta principale agendo anche a costo di determinarlo. ( )
Si avrà invece colpa aggravata dalla previsione dell’evento quando l’agente, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella convinzione che esso non si verificherà confidando nell’intervento di fattori esterni quali l’abilità personale, l’intervento di terzi, o di altre circostanze che impediranno o interromperanno il potenziale nesso causale che lega l’evento alla propria condotta.
Alcuni studiosi hanno poi evidenziato come andrebbero distinte le ipotesi allorquando il rischio sia in qualche modo “schermato” ossia controllabile oggettivamente dall’agente in virtù di particolari fattori (in questo caso si avrebbe colpa cosciente) ad esempio quando l’agente è colui che si pone alla guida dell’autovettura.( )
Quando invece il rischio non sia in alcun modo “schermato” ovvero nel caso in cui l’agente non sia in grado in alcun modo di controllare il decorso causale da lui avviato, si avrebbe dolo eventuale in quanto l’evento sarebbe rimesso del tutto al caso e l’agente lo avrebbe comunque accettato come possibile prodotto della sua azione.
In una recente sentenza delle Corte di Cassazione (n. 10411/11 Sez I Sent. “Vasile”) viene approfondito maniera incisiva l’elaborazione giuridica dell’istituto del dolo eventuale e della sua differenza con la colpa cosciente, con importanti profili innovativi.
In estrema sintesi la citata sentenza della Corte Suprema disattende l’assunto in forza del quale colpa cosciente e dolo eventuale si distinguerebbero, sul versante della rappresentazione, perché l’evento è previsto come “astrattamente realizzabile” nella colpa cosciente e come “concretamente realizzabile” nel dolo eventuale, affermando che la rappresentazione dell’intero fatto tipico come probabile o possibile è presente in entrambi i casi, sia del dolo eventuale sia della colpa cosciente e che la accettazione del rischio del verificarsi dell’evento non direttamente voluto, è presente in entrambe le ipotesi; il tratto distintivo risiederebbe nel fatto che nel dolo eventuale, il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro.
Il che comporta ovviamente che in sede processuale deve essere data dimostrazione che la accettazione è il frutto di un consapevole bilanciamento tra interesse perseguito ed il bene giuridico eventualmente leso, conclusosi con la scelta di sacrificare quest’ultimo sull’altare degli interessi perseguiti dall’agente.
Su questa scia si inserisce la nota sentenza di primo grado della corte d’assise di Torino nel caso Thyssenkrupp, secondo la quale, in estrema sintesi, l’agente avrebbe subordinato consapevolmente un determinato bene, ossia gli obiettivi economici dell’impresa, ad un altro, ovvero l’eventuale incolumità dei lavoratori.
Sappiamo che la sentenza di primo grado è stata ribaltata in secondo grado (Corte d’Assise d’Appello di Torino 15.4.2013) ma la impostazione data alla sentenza della Corte di Cassazione citata ( ) appare, ad avviso di chi scrive, più convincente e comunque non superata da successive pronunce di legittimità, anzi recentemente ribadita ( ).
Ad allora vediamo come detta pronuncia si attagli perfettamente al caso di specie nel quale la difficoltosa dimostrazione di uno stato psicologico interiore è resa più facile dalle richiamate intercettazioni telefoniche che dimostrano come l’agente si sia rappresentato perfettamente il rischio del verificarsi di una forte scossa di terremoto, (circostanza peraltro al di fuori della propria sfera di controllo), nonché l’evento non direttamente voluto (evento morte a seguito di scossa violenta di terremoto) ma ciononostante abbia agito, organizzando la riunione della Commissione Grandi Rischi e imponendone, pur non partecipandovi direttamente, l’esito (“Verranno e… diranno… facciamo una cosa mediatica … per zittire …”) con ciò dimostrando di aver internamente eseguito quel bilanciamento di interessi tra l’obiettivo perseguito, (la tranquillizzazione a tutti i costi della opinione pubblica, locale e nazionale, la presunte tutela della economia locale, la “continuità” amministrativa, la dimostrazione che la Protezione civile aveva tutto sotto controllo, in altri termini una male intesa “ragione di Stato”), e l’eventuale sacrificio in termine di vite umane.
Ma il bene supremo della vita e della integrità psicofisica non può essere legittimamente posposto a nessun altro.
La mancata valutazione del rischio intesa come corretta valutazione di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione (si sapeva che il patrimonio immobiliare Aquilano era molto fragile e che sicuramente sarebbe crollato in percentuali molto alte in presenza di una scossa di medio alta entità come poi è successo), la mancata comunicazione corretta, completa e tempestiva; la assenza di un piano di protezione civile; la assenza di predisposizione di cautele a fronte del crescente sciame sismico (come ad es. avvicinamento di mezzi pesanti per la eventuale sollecita rimozione delle macerie), sono tutti indici sintomatici di una ponderazione degli interessi in gioco (con sacrificio di quello del bene vita) con accettazione del rischio dell’evento morte in presenza di un fattore non controllabile dall’agente: abbiamo il paradigma dell’omicidio volontario per omissione con dolo eventuale.
Non credo, infatti, sia necessario ricordare che con una corretta informazione e con l’approntamento di idonee cautele si sarebbero salvate delle vite umane, certo non tutte, ma sicuramente molte, (ma foss’anche una sola il ragionamento non cambierebbe) perché gli Aquilani avrebbero messo in atto i comportamenti tramandati nei secoli, improntati al principio di precauzione e di prudenza, dormendo in macchina o centri di accoglienza.
V) Conclusioni e Richieste
E’ necessario che la vicenda non sia chiusa con una archiviazione che sarebbe una sconfitta per tutti, per coloro, adulti e bambini, che sono morti dopo ore di dolore sotto le macerie, schiacciati dalle pietre e dalle travi di cemento, dai termosifoni delle loro case.
Ma sarebbe una sconfitta anche per il sistema giudiziario, e a ben vedere anche per gli stessi indagati, che hanno diritto, se lo sono, ad essere riconosciuti innocenti dopo un regolare processo, non con una archiviazione, che sarebbe vissuta dai parenti delle vittime come “un sotterfugio”, un comodus discessus.
E’ necessario che sia un Giudice della nostra Repubblica, dopo un dibattimento approfondito e serio, a valutare e a decidere se ci sono stati dei comportamenti penalmente rilevanti, se ci sono state dolose accettazioni di rischi valutati e coscientemente posposti a male intesi interessi “di Stato” (che poi altro non erano se non la smodata ambizione, l’egocentrismo ai limiti del delirio di onnipotenza, la paura, non del terremoto, ma delle “brutte figure” e delle polemiche).
Ed allora la richiesta in via principale è quella che il Giudice per le Indagini Preliminari voglia ordinare la imputazione coatta per omicidio plurimo e lesioni volontarie plurime, reati assistiti dal dolo eventuale.
I poteri del Giudice per le Indagini Preliminari in questa sede lo consentono.
Come è noto dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 263 del 1991 «L’ordine di formulare l’imputazione previsto dagli artt. 409, quinto comma e 554, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale costituisce – come la Corte ha rilevato nella sentenza n. 88 del 1991 – un incisivo strumento di garanzia del rispetto sostanziale, e non solo formale, del principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale, che esige che l’inazione del pubblico ministero, manifestata con la richiesta di archiviazione, sia sottoposta ad un penetrante controllo da parte del giudice. A tal fine, occorreva provvedere per l’ipotesi in cui il dissenso tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari circa l’idoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa sia determinato non da carenza di indagini, ma da divergenti valutazioni in ordine alla ricostruzione dei fatti ed alla loro riconducibilità in determinate figure criminose: e, stante la preminenza di quel principio, si è stabilito che dovesse prevalere la valutazione del giudice, cui si è di conseguenza attribuito il potere-dovere di ordinare che l’azione penale venisse esercitata attraverso la formulazione dell’imputazione … L’ordinanza, quindi, non può non contenere l’indicazione degli elementi di fatto e delle ragioni giuridiche in base alle quali il giudice per le indagini preliminari ritiene che l’azione penale deve essere instaurata: e ciò, ovviamente, non in astratto, ma in riferimento ad una, o più, determinate fattispecie criminose. Da tali indicazioni, la cui specificità discende dall’obbligo di motivazione, il pubblico ministero non potrà discostarsi ».
Nello stesso senso si pongono recenti sentenze di Legittimità secondo cui: « In sede di decisione su una istanza di archiviazione, i poteri riconosciuti al gip sono delimitati dall’ambito della notitia criminis e non dalle ipotesi di reato eventualmente formulate dal p.m., sicché deve ammettersi che il giudice possa ordinare la formulazione di imputazioni anche diverse e nei confronti di soggetti anche non individuati nella richiesta di archiviazione come destinatari di accuse rilevanti», (Cass. pen., sez. II, 08-05-2003, Parti: De Sarro, Fonti: Giur. it., 2005, 605; e in Dir. pen. e proc., 2005, 63, n. VERGINE).
Nello stesso senso le Sezioni Unite della Cassazione secondo cui « Non è abnorme, e pertanto non ricorribile per cassazione, l’ordinanza con la quale il gip, all’esito dell’udienza camerale fissata sull’opposizione della persona offesa per il mancato accoglimento della richiesta di archiviazione del p.m., ordini l’iscrizione nel registro delle notizie di reato di altri soggetti mai prima indagati e per i quali il p.m. non abbia formulato alcuna richiesta, disponendo altresì la prosecuzione delle indagini, in quanto trattasi di decisione che rientra nei poteri di controllo a lui devoluti dalla legge sull’intera notitia criminis», (Cass. pen., S.U., 31-05-2005, Parti: Minervini, in Arch. nuova proc. pen., 2005, 564; Corriere merito, 2005, 1081; Cass. pen., 2005, 2860, n. CASSIBBA; Guida al dir., 2005, fasc. 28, 80, n. AMATO; Riv. it. dir. e proc. pen., 2005, 787, n. CIAVOLA).
In via subordinata, si chiede che il Giudice per le Indagini Preliminari voglia ordinare, ex art. 113 c.p. la imputazione coatta per cooperazione colposa in omicidio e lesioni colpose, aggravati dalla previsione dell’evento (Art. 61 n. 3 c.p.)
E’ infatti chiaro che, anche ove la S.V. non voglia condividere la impostazione sopra illustrata in tema di dolo eventuale, quanto meno, a dispetto di quanto sostenuto dal Pubblico Ministero, risieda in capo all’agente la consapevolezza di concorrere, con la propria condotta, alla azione ed omissione colposa altrui (la commissione Grandi Rischi) contribuendo causalmente alla verificazione dell’evento non voluto.
Fatti aggravati dalla previsione dell’evento.
Infatti «Si ha cooperazione nel delitto colposo di cui all’art. 113 c.p. quando più persone pongono in essere una data autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all’azione od omissione altrui che sfocia nella produzione dell’evento non voluto». (Cass. Sez. Unite 25.11.1998, Loparco, in Arch. nuova proc. pen., 1999, 140; Riv. pen., 1999, 469; Cass. pen., 1999, 2084; Giust. pen., 1999, II, 500; Gazzetta giur., 1999, fasc. 18, 50; Guida al dir., 1999, fasc. 13, 87, n. SACCHETTINI).
In ulteriore subordine si chiede che la S.V. respinta la richiesta di archiviazione disponga la restituzione degli atti al P.M. affinché questi provveda, entro il termine dalla S.V. assegnato, ad effettuare espletare le ulteriori indagini indicate nell’atto di opposizione
Per i motivi esposti si chiede che la S.V. voglia rigettare la richiesta di archiviazione avanzata dal P.M. e conseguentemente disporre la imputazione coatta con la rubrica ritenuta da questo Giudice, ovvero la restituzione degli atti al P.M. affinché questi provveda, entro il termine dalla S.V. assegnato, ad effettuare le ulteriori indagini indicate nell’atto di opposizione o dalla S.V ritenute utili.
Con osservanza. Avv. Stefano Parretta
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