Il Calderone ci sta dicendo addio?
L’Aquila – “THE DAY AFTER TO MORROW” ? NON E’ SOLO UN FILM… – (di Gianfranco Colacito) – (Foto: Il Calderone, CAI di Amatrice; panorama del vecchio Calderone, la “bella addormentata” dalla A-24 – foto Stefano Leone – un glacionevaio presso il Franchetti – foto Iurisci – e il nevaio di Fosso Rava) – Stefano Ardito, su “Macro” del Messaggero, ci ha rimessi tutti in ansia. In un suo articolo, sceglie il titolo “Calderone, ghiacciaio a rischio”. Senza punto interrogativo… Cioè come un fenomeno acquisito e in atto, anzi accentuato negli ultimi due o tre anni. Le macchie bianche che tutti guardano con apprensione percorrendo l’autostrada A-24 da Teramo verso L’Aquila sono, a quanto sembra, destinate a ridursi e un domani anche a diventare piccolissime. Insomma, da ghiacciaio a nevaio, se va bene. I nevai sono depositi di neve perenne (presenti sul Gran Sasso) ma non hanno le caratteristiche del ghiacciaio. Sono di serie B, insomma. Una leggera ripresa del Calderone, spiega Ardito, si ebbe negli anni 2009 e 2010. “Ma la tendenza resta negativa”.
Secondo il geologo Pecci, sentito da Ardito, nel 1999 alla base della conca il georadar dava 20-25 metri di spessore del ghiaccio. Ora lo spessore è ridotto della metà : per il mondo della scienza glaciologica “non ci sono dubbi che il Calderone sia destinato a scomparire, come molti dei suoi simili delle Dolomiti e delle Alpi Marittime”. Il problema non è solo turistico o geografico. Il rischio è che si possa ridurre la portata delle sorgenti idriche ai piedi del Gran Sasso. La riduzione del permafrost, lo strato di suolo ghiacciato che cementa rocce e morone, dice il geologo Massimo Pecci ad Ardito, può accentuare il pericolo di frane.
Non appena le condizioni ambientali lo permetteranno (ci sono state precipitazioni nevose molto recenti ad alta quota alla fine di maggio) gli studiosi torneranno a misurare e verificare quanto ghiaccio c’è lassù. A settembre, quando la conca sarà asciutta, si farà il “bilancio di minima”. Sapremo quanto Calderone c’è rimasto… Presumibilmente, poco.
Il ghiacciaio del Gran Sasso è l’unico del centro-sud d’Italia e comunque quello più meridionale del continente europeo. E’ sempre stato meta di escursionisti particolari, di fotografi, studiosi, che partono solitamente dai Prati di Tivo (caninovia Arapietra), percorrono il Vallone delle Cornacchie, avvistano il rifugio Franchetti, la Sella dei Due Corni e quindi arrivano al ghiacciaio. In piena estate, solo pochissimo ghiaccio appare assediato dalle pietre. Poi il paesaggio glaciale si rinforza, ma sempre più debolmente. Prima o poi, la scienza dovrà cambiare l’etichetta e parlare di nevaio. La montagna abruzzese avrà perso una sua caratteristica unica, una sua identità che rivela, senza ombra di dubbio, il cambiamento lento la progressivo del clima. Il calore, tirando le somme, è sempre di più. Lo dicono anche altri fenomeni (anche disastrosi) in tutto il mondo, come gli uragani violentissimi e frequenti. Lo dicono i ghiacci polari che si frantumano e arretrano, variando la salinità dell’acqua del mare e quindi gli effetti delle correnti oceaniche che determinano il clima.
Se non è “Day after to morrow” gli somiglia molto. E forse tutto accadrà molto velocemente, più di quanto ci si possa aspettare. Se volete averne un’idea, sia pure esasperata e cinematografica, vedete o rivedete – appunto – l’emblematico film “The day after to morrow”. Non è che ci si debba interessare, in campo scientifico e tecnologico, solo dell’ultimo modello di I-pad, o di automobile super-risparmiosa: la natura va ascoltata anche quando parla il suo linguaggio e sempre, in ogni vigilia di cambiamento o di evento catastrofico, dà segnali, avverte.
Il Gran Sasso ci sta ricordando che la fine del suo ghiacciaio non è solo una curiosità da depliant turistico. Del resto, solo pochi anni fa, tra 2005 e 2006, dal Corno Grande, versante Isola del Gran Sasso, precipitò a valle un’enorme frana, un distacco mastodontico di materiali rocciosi, dovuto (disse qualcuno) a mutamenti geologici legati al clima. Non era la prima frana in quel versante. Chi sa osservare, ancora oggi scorge le tracce di colossali altre frane.
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