A spasso, come nell’altra vita
L’Aquila – Il calcio in tv? Per carità. Ancora meno le trasmissioni pomeridiane piene di cretini che fanno gli ospiti (a pagamento) di mamma Rai. Gli altri sono più o meno la stessa solfa. E allora, melanconica passeggiata domenicale, come nell’altra vita. Per vedere da vicino piccole cose e grandi dolori: sono la nostra realtà, inutile nascondere le teste sotto la sabbia. L’Aquila che resta è così. Chi sa quanti anni.
Partiamo da Bazzano Due, la new town più grande, la più popolata. Fango, gran via vai di mezzi, operai in casco e tute colorate che lavorano come se non fosse domenica. Famigliole con valige, sacchi, paralumi in teloni di plastica che vanno forse ad ammobiliare le loro case. Gente dietro i vetri e nei balconcini, auto ordinatamente parcheggiate tra i pilastri antisismici. Ne osserviamo uno da vicino per scoprire i segreti dei dispersori di energia sismica. Funzioneranno davvero? Non c’è fretta per saperlo, ma tutti dicono di sì.
Lasciato il quartiere dotato già di rotatoria e strade di accesso, che è uno dei volti della città, ci muoviamo lentamente verso Paganica. Una tristezza infinita. Gente per strada, ma senza le stesse facce di “prima”. Niente è come prima. Le chiese ferite, palazzi e portali devastati, stradine sbarrate, ancora tante macerie, erbacce alte un metro, prospettive solitarie e per chiunque è facile superare sbarramenti e recinzioni, per andare a scoprire dove l’antica bellezza della grande frazione aquilana è colpita a pugnalate. Localini con insegne giovanili e spiritose, ma senza nessuno fuori o dentro. Paganica è diruta, smozzicata, sconvolta. Ce ne andiamo sconvolti anche noi. Nessuno può capire davvero cosa è accaduto, se non va a passeggiare tra le rovine.Così è al centro dell’Aquila, così dovunque la furia sismica ha spazzato via uomini e cose. Un antico affresco letteralmente strappato dal muro e dalla sua cornice di pietra scalpellata. Un torrione circolare tritato, smozzicato, sconquassato.Assergi pare soffrire assai di meno. La vicina Camarda ha perso il suo simbolo, il torrione che dominava la sommità del paese aggrumato sulle sue rocce che non l’hanno salvata. Nelle viuzze di Assergi tutte pietre color ruggine, archetti e lampioncini , silenzio totale. Pare che non ci sia anima viva, solo poche persone che attingono acqua fresca dalla fonte presso la sede del Parco Gran Sasso. Sorrisi e saluti sommessi, espressioni di compassata sofferenza.
Nessuno ride, nessuno ricorda che è una domenica ancora buona per passeggiare al Sole caldo o sotto qualche rapido piovasco con arcobaleno. I vicoleti larghi poco più d’un metro sono ombrosi e umidi, diverse pietre rotolate sull’acciottolato. Forse non per il terremoto. Lasciamo metà di un panino con il salame ad un povero gatto magrissimo, che miagola per la fame e per la solitudine: ma non ci doveva essere qualcuno che doveva pensare anche agli animali abbandonati?
A Fonte Cerreto parecchie persone, gli alberghi sembrano frequentati. Domandiamo se ci sono sfollati del terremoto: “Non credo” ci dice un cameriere. Sono turisti. Del resto, avevamo visto addirittura un autobus di viaggiatori alle rovine archeologiche di S.Vittorino. Qualcuno viene a L’Aquila nel tepore del giovane autunno. Anche per vedere se è ancora in piedi, oppure è come Amiternum, quattro spuntoni di muraglia ad opus reticulatum. No, L’Aquila c’è, scarmigliata, disperata, spopolata, ma ancora decisa a restare sul suo colle. E nelle new towns. Oppure negli appartamenti per i quali si chiedono 1.500 mensili di fitto. Magari a chi ne prende 1.200 di stipendio, famiglia a carico. Sì, L’Aquila c’è anche sotto questo profilo. Passeggiata domenicale finita, annotta. Ultimo scatto a Paganica: sulla facciata di un edificio che ha qualche secolo, ed è rimasto in piedi, si vedono due grosse piattine di “catena”, sapete le catene che si usavano cent’anni fa per tenere in piedi i muri a dispetto del terremoto? Hanno funzionato: i muri hanno retto alla botta del 6 aprile, proprio sulla faglia. Ingegneri e cervelloni, che ne dite? Chi sa cosa ne penserebbe la Commissione grandi rischi, quella che esortava a stare tranquilli mentre le faglie ribollivano e si sfregavano furiosamente l’una contro l’altra. (G.Col.)
(Nelle foto Col del giorno 11 ottobre: Due immagini di Paganica devastata e solitaria, la facciata di un edificio che ha resistito egregiamente grazie alle vecchie “catene” da parete a parete, e un tristissimo micio rimasto solo e senza cibo)
Non c'è ancora nessun commento.