Un ritorno al futuro per l’Abruzzo Aquilano?


(Foto: i panorami dell’Aquila e di Rieti) – L’AQUILA, RIETI E LA SABINA – Da Enrico Cavalli riceviamo: “Gentile direttore, nell’ esprimere il mio apprezzamento per l’attenzione mostrata dalla Sua testata alla cosiddetta “questione Sabina”, ovvero, del rapporto storico fra il Reatino e l’Aquilano*, Le sottopongo questa breve riflessione.
La anticipata fine del governo Monti e le stesse risultanze della Commissione dei dieci Saggi nominati dal presidente dela Repubblica Napolitano per superare l’impasse istituzionale del Paese, hanno accantonato la revisione delle circoscrizioni provinciali ai fini della riduzione della spesa pubblica. Difficile che sull’agenda del prossimo Governo e Parlamento, la questione della spending rewiew non venga posto all’ordine del giorno, e, la classe politica aquilana non deve trovarsi spiazzata allorquando tornerà a spirare il tema del ridimensionamento delle circoscrizioni provinciali peraltro insindibile al tema della macroregione adriatica disegnata dal Governatore abruzzese Gianni Chiodi. Infatti, è ’in gioco la funzione della città capoluogo di regione e di provincia da oltre quattro secoli in una fase storicamente nevralgica perché coincidente alla ricostruzione morale e materiale aquilana. Urge, forse, di riannodare i fili del discorso inerente il da più parti ventilato passaggio del Reatino alla provincia dell’Aquila. Di qui, l’importanza di sottolineare problematiche storiche di fondo ed utili alla stessa positiva conclusione di una vicenda amministrativa avente crismi di una sorta di ritorno al futuro per l’Abruzzo Aquilano.

Oltre il riferimento ai centri nevralgici sabini di Teora ed Amiternum come alla rivalità tra Rieti e la conurbazione aquilana in età medievale per controllare la via degli Abruzzi, risalendo ad epoche molto più vicine, fu Fabio Cannella, il sindaco di Aquila all’atto dell’Unità a perorare l’ingresso nella provincia dell’antico Abruzzo UlterioreII, appunto, dell’alto Reatino.

Tali aspettative, ribaltate nel gennaio 1927, allorquando, il regime fascista per punire la diatriba fra i gerarchi abruzzesi, (soprattutto, tra Adelchi Serena ed il sulmonese Alessandro Sardi) quanto, per espandere le prefetture nella nazione, creava le province di Rieti e Pescara, rispettivamente, e, in grande parte, sottraendo l’ex Circondario di Cittaducale ed il Mandamento di Popoli e Bussi ad Aquila che d’inciso annetté otto comuni viciniori(ridenominandosi dal 1939 in L’Aquila).

Le genti cittaducalesi, intanto, rimaste nell’Archidiocesi aquilana fino al 1976, sempre, guardarono alla loro antica provincia, specie, dopo il 1945, nelle lotta per il capoluogo abruzzese, in questa loro rivendicazione assecondate in chiave aquilana massimamente dal deputato monarchico, Vincenzo Rivera.

Rinfocolatasi questa contesa nel 1970-71 fra aquilani e pescaresi, il democristiano Luciano Fabiani ideò la regione Sabina, ma, la politica cittadina, avvitata in quel nuovo ed artificioso Grande comune che fu il piano urbano del 1975, conchiuse una municipalità ad ampio raggio anche in ottica di approccio al Reatino compresso nell’espansione romana, mentre, al di là dei campanilismi costieri irrompeva l’area metropolitana Pescara-Chieti.

La “questione Sabina”, passò dalle ipotesi di sedi distaccate nel Reatino dell’Univaq., al periodico secessionismo di Leonessa ed Antrodoco, dalle patrimonialità aquilane di Piscignola e Santogna al ruolo di Amatrice nell’Abruzzo regione verde dell’Europa. Diverse occasioni di uno sviluppo integrato dell’area aquilana e sabina potevano derivare dagli agganci alle rotte stradali e ferroviarie per Roma ed il nord, trascurandosi l’indotto socioeconomico della L’Aquila-Amatrice, come di un bacino sciistico di livello europeo perché potenzialmente annoverante il Terminillo, Gran Sasso, Altopiano delle Rocche e Maiella.

Si impone agli amministratori aquilani e reatini di valutare le radici storiche di un rapporto fra queste aree cruciali dell’Italia centrale, a ben vedere, sempre investito da decisioni governative, allora, nel 1927, reso più critico ed ora dalle prospettive di crescita sinergica. Questi due territori simbolo di una identità appenninica, altrimenti, sarebbero subordinate alle direttive delle aree da un lato romano centriche, e, dall’altro adriatiche a prescindere dalle velleità di macroregione dalle Marche al Molise, così, pregiudicandosi la medesima strategica ricostruzione morale e materiale dell’Aquilano”.


25 Maggio 2013

Categoria : Storia & Cultura
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