L’Aquila, dentro e fuori le mura
L’Aquila – Scrive Ugo Centi: “Quando si parla del centro storico dell’Aquila e della sua ricostruzione, bisogna tener conto di un fatto storico-sociologico. Fino agli anni ’50 del ‘900 quello che oggi chiamiamo “centro storico” era tutta la città. Fuori c’era la campagna. Ed i paeselli agricolo-pastorali. Gli abitanti del contado, quando andavano in città, dicevano “vado a L’Aquila”, come fosse un’altra città. Ed era un’altra città davvero. Perché “dentro le mura” c’erano le banche, gli uffici, gli avvocati, gli ingegneri, i “dottori”: i “colletti bianchi” di allora; quelli cui ti rivolgevi quando ti succedeva qualcosa: una malattia, una lite in Tribunale, oppure quando dovevi acquistare qualcosa dai commercianti e gli artigiani “cittadini”. Insomma, quando ti toccava pagare traendo dalla tua… povertà! Perciò quella era “la città”, non certo amica. Non a caso, proprio negli anni ’50, quando la società cominciava a cambiare, la scuola prendeva a “mescolare” le provenienze, la “democrazia” a rendere i cittadini un po’ più uguali; allora non erano rare le scazzottate, magari mascherate da tifo sportivo, tra i “giovani di campagna” ed “i figli di papà” cittadini, che magari d’estate smargiassavano in campagna per le… scampagnate, appunto.
Poi tutto è rapidamente cambiato: la città è diventata “periferia” sotto l’effetto dell’industria di Stato (i 5 mila operai, 80% donne, dell’Italtel anni ’70), il proliferare del pubblico impiego, la scolarizzazione di massa, eccetera. Allora il centro si è chiamato “storico”, non più fattore di divisione “di classe”, ma città da utilizzare, magari da godere, ma non da “amare” come propria, perché “propria” non era stata nella storia. È quel tipo di centro che il sisma ha distrutto, forse per sempre. Ecco perché oggi la sua mancata ricostruzione fa più scandalo fuori che a L’Aquila. Più tra i non aquilani che tra gli aquilani. E tra quegli aquilani in cui fa pur scandalo, la (non)ricostruzione del centro è forse soprattutto intesa perché frequentare o abitare quel centro, negli anni ’70-’80 del ‘900 era per molti di loro il “salto di classe”. Poi c’è quello che resta della “aristocrazia” d’un tempo: e lì è un altro discorso.
L’Aquila, dunque, era già “periferia” prima del sisma. Ma il sisma ha però accelerato tutto, cancellando quel “magnete” urbano che pur rimaneva ad equilibrare il tutto. Oggi hai solo periferia, cioè una (non)città con un (ex)centro. È da qui che bisogna partire se non si vuol fare solo retorica. Fosse diverso, infatti, la ricostruzione sarebbe già partita. E non è solo questione di soldi. È fatto culturale, puro dato culturale”.
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