Venezia, mostra dedicata a L’Aquila
L’Aquila – Sarà inaugurata stasera alle ore 17 a Venezia alla Scoletta dei Calegheri la mostra itinerante di pittura UNIVERSO IN RI/COSTRUZIONE dell’artista iraniano REZAKHAN dedicata alla città terremotata dell’Aquila che resterà aperta fino al 20 Maggio. Promossa e organizzata dall’Associazione Culturale “22 secondi” e L’Associazione Culturale Veneziana “Il Filo dell’orizzonte”, con la consulenza museale di Angelus Novus, Patrocinata dal Comune di Venezia e dell’Aquila, con il concorso della vetreria di Murano diretta da Cristina Sfriso, la mostra è supportata da un bel catalogo della casa editrice romana DEd’A recante la riproduzione di tutte le opere in mostra.
Scrive tra l’altro in catalogo in critico Antonio Gasbarrini nel suo testo 22 più 2 opere dedicate al terremoto aquilano del 6 aprile 2009: “Il titolo di questa mostra personale dell’artista iraniano Rezakhan a Venezia, ne riecheggia un altro pressoché identico: Universo in costruzione. Utilizzato nel 1991 nel testo di presentazione di una delle sue prime uscite espositive nell’aquilana Officina di Claudio Del Romano. Qui Rezakhan ha collaborato, come grafico, con uno dei più insigni figli dell’arte tipografica italiana (Claudio Del Romano, appunto, scomparso quasi novantenne alcuni giorni fa).
Tra quel “remoto”, remotissimo 1991 in cui aleggiava tutta la poetica aniconica di matrice islamica del giovane artista trapiantato nella città federiciana, e quei terribili, sobbalzanti secondi delle 3.32 del 6 aprile 2009, c’è un incolmabile iato: della memoria, innanzitutto. “Di e in” una città distrutta dal sisma prima ed assassinata una seconda volta poi, dalle repellenti campagne propagandistiche mediatiche dell’innominabile sig. b. e dalla concomitante inettitudine delle istituzioni (degne solo d’una minuscolissima i).
Dopo ben quattro giri della terra intorno al sole, il centro storico de “L’Aquila magnifica citade” (così la designava a metà del Trecento il cantore epico Buccio di Ranallo nella sua Cronica) somiglia sempre più a Pompei, con le sue desolanti rovine impalate, con le sue zone rosse (di vergogna), con i militari che ancora presidiano questo o quel varco interdetto, con i 14.000 diasporizzati cittadini aquilani tuttora rinchiusi entropicamente nei 19 agglomerati (cosiddette new town) senza più un’accettabile identità civica.
Rezakhan, il critico Antonio Gasbarrini, la poeta Anna Maria Giancarli, hanno sperimentato sulla propria pelle tutte le atrocità compresenti in un’inenarrabile e irrappresentabile tragedia. In gran parte accettabile allorché le forze ctonie della Natura scaricano casualmente e caoticamente tutta la loro energia catastrofica repressa.
Cercando ora in questa personale – con la muta, eppur euritmica teoria delle opere esposte partorite sotto l’egida dei “22 secondi” (durata della devastatrice scossa sismica, peraltro declinati dai sismologhi anche in 26 o, ancora, in 38 sessantesimi d’un interminabile minuto) – e, con le due testimonianze in catalogo, di sublimarla.
Ventidue fotogrammi (più 2) d’un unico film dell’Universo in/ricostruzione girato da una stordita Mnemosine. Fotogrammi percepibili sia singolarmente, sia in sequenze liberamente frammischiabili dal fruitore. Una serie di “costanti poetiche” rimandano dritto dritto alle lezioni di alcuni dei principali Maestri dell’avanguardia (dal Quadrato nero del ’13 di Malevitch, al «silenzio di 24 minuti, durante il quale lo schermo rimane nero» nel debordiano lungometraggio senza immagini Hurlements en faveur de Sade del 1952). Né sono da meno i riconoscibili lacerti ideogrammatici delle scritture calligrafiche orientali. (…)
Ben al di là di questi passaggi neo-alchemici, conta una concentrata resa creativa fuori del comune. Anziché appellarsi ad un complice pathos o ad una nostalgica, dolente rammemorazione, Rezakhan sceglie la via, tutta in salita, dell’interdizione. Inconsciamente assimilata dai mille e mille divieti tuttora presenti nelle varie zone rosse della città fantasma. Oltre le sue occludenti, strappate e strappabili siepi-palafitte non s’intravvede nessun metafisico infinito leopardiano. Piuttosto il lucido pessimismo d’una “ragione errabonda” (Giorgio Colli) imprigionata negli interstizi delle cataste e cataste di macerie fisiche ed esistenziali. (…)
Circa i “non-titoli” delle opere, dice una nota di Antonio Gasbarrini di Angelus Novus, la cui riconoscibilità didascalica è stata opportunamente affidata ai sincretici guizzi semantici di Anna Maria Giancarli, va sottolineato che gli stessi si fondano e fondono creativamente in rapporto alle immagini, con il medium di epigrammatici spunti poetici. Se non altro per invogliare a sbirciare, tra gli screziati vuoti esistenziali delle barriere rezakhaniane, ultronee schegge della ferita memoria: […]«ora nella trappola / richiami di cenere / rantoli di materia»; «paesaggi più della terra duri / trafitti da neri artigli»; «uragani di fiamme offendono il tuo corpo / mente evanescente / città della memoria»; «arcobaleni di liquidi richiami / poi / silenzi svaporati di passato» […].
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