Dalla Svezia: “I tempi della ricostruzione”
L’Aquila – Riceviamo da Giovanni De Simone, residente a Stoccolma in Svezia: “Caro Direttore , ho appena visto con immedesimazione il video dei ragazzi del Cotugno , ove tra l´altro ho studiato e per diversi anni ho dormito nelle camerate ora cadute causando le morti che sappiamo.
Ma per alcune ipotesi di ricostruzione che circolano in L´Aquila vorrei ricordare questo seguente episodio: mi trovavo diversi anni orsono a dirigere un lotto di lavori di manutenzione ordinaria di varie strade provinciali del capolugo e dei comuni limitrofi consistente in riparazioni a macchia di leopardo , ove si ritenevano necessarie dalle perizie dei tecnici, ed arrivati con il cantiere sulla SP 1 Amiternina si noto´che alcuni ponti erano ammalorati e le massicce pietre squadrate che costituivano le spalle degli stessi si erano sganciate ed erano precipitate per diverse centinaia di metri in fondo alla scarpata-
In sede di sopralluogo la mia prima proposta fu´di sostituire il tutto sbrigativamente con travi di C.A: ma, il capocantoniere del luogo che sovrintendeva ai lavori , subito si oppose e non senza il classico preliminare “esso quissu”, nel farmi conoscere la curiosa storia di quella strada informandomi che i ponti erano stati costruiti dalle femmine aquilane attorno al 1915 durante la prima guerra, ma, oltre alla caratteristica di essere opera di donne mi ribadi` in dialetto “ u quindici lu si capitu? ”
Quindici , significava che i ponti esistevano da prima della legge 1089/39 e pertanto, per vincolo, dovevano essere ricostruiti secondo il loro primitivo aspetto progettuale; difatti e con santa pazienza per sua indicazione dovemmo organizzare degli argani e con lunghe funi di acciaio recuperare uno per uno tutti i bolognini dal fondo del burrone riportarli al livello del piano stradale e rimontare numericamente le pietre nel posto esatto in cui originariamente erano-
Ora la ricostruzione storica dell´Aquila e´leggermente piu´agevole perche´ almeno le pietre sono cadute sul posto e non sono ruzzolate per centinaia di metri sino al fiume Aterno , ma se “per legge” sono considerati beni storici -architettonici da salvaguardare esteticamente anche tutti i ponti delle ottocentesche ferrovie abruzzesi che non possono essere strutturalmente modificati benche´siano soltanto ponti e tutti uguali tra di loro , figuriamoci cosa pensi la stessa legge del centro storico di
L´Aquila se e´ un vasto susseguirsi ( ed in spazi ristretti ) di chiese palazzi e palazzetti di pregio monumentale databili dal 1200 al 1700 ed ognuno con qualita´ od anche stile, di propria diversita´.
Lo slogan dei carriolisti ,”L´Aquila dove era L´Aquila come era”, non e´altro che un articolo della suddetta legge vigente in Italia ,quindi non bisognerebbe alimentare queste piccole angustie o false illusioni, anche nei giovani, di una rapida ricostruzione del centro con gli stessi ritmi del CASE, tecnicamente attuabile dalla standardizzazione delle misure e dalle moderne metodologie di prefabbricazione in sequenza , ma piuttosto e con maggiore verita´ prepararsi alla pazienza di qualche decennio perche´oltre ai nodi della burocrazia al controllo della Sovrintendenza o all´ immancabile tentativo di arricchirsi di chiunque ne abbia volonta´ , la varieta´e complessita´ delle ristrutturazioni sottoposte all´obbligo di un unico metodo di esecuzione , prendera´di per se´ un tempo tecnico di ultimazione , solo presumibilmente valutabile; magari, si potra´anticipare un po´se le stesse donne aquilane e tra esse le piu´rinomate, invece delle sole parole prendessero mazza e scalpello e dessero la stessa dimostrazione delle loro doti come fecero le donne aquilane del 1915 , iniziando ad impiegare ingegno anche per squadrare le pietre necessarie a rifare la citta´”-
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