L’economia aquilana sta collassando, precipitiamo nel buco nero
L’Aquila – ( di G.Col.) – Per le stelle, si chiama collasso e significa che l’esterno precipita verso l’interno concentrando la massa ed elevando la gravità all’infinito. Buchi neri. Nulla e nessuno ne vengono fuori. Similmente sta sgretolandosi, giorno dopo giorno, la struttura economica aquilana e nei centri del cratere. Gli ultimi dati che lo gridano sono quelli demografici dell’Istat, noti da oggi: la provincia ha perso oltre 11.000 abitanti, e il maggior tributo lo paga il capoluogo, dal quale si sono allontanati in 3.500. Sono prossimi alla desertificazione definitiva molti piccoli centri nel circondario. In molti la ricostruzione non è neppure una prospettiva: niente. Siamo all’esodo per disperazione.
La gravità della situazione è confermata, del resto, anche dalla decisione del presidente del Senato Grasso (sollecitato con ininterrotta attenzione dalla senatrice Pezzopane) di dedicare una seduta della Camera alta alla ricostruzione il 17 aprile. Importante, ma drammatica. Significativa. Ci si chiede se vi siano precedenti.
Le dimensioni di questo collasso sono da emergenza. 6.500 persone (su meno di 70.000 abitanti, tanti ne sono restati) sono disoccupate. Migliaia sono pensionate al minimo, che non garantisce la sopravvivenza, senza frugare nei cassonetti. Numerosi lavoratori sono esodati. Molti altri saranno disoccupati a breve scadenza. I cassintegrati (quasi 3 milioni di ore, dice il sindacato) sono un esercito, e altri ce ne saranno alla Micron di Avezzano, dove lavorano 250-300 aquilani. Centinaia sono i precari, diventati tali anche a 40 anni e più. Per ora, senza prospettive. Molti con famiglie.
Il concorsone vanto del Ministro Barca porterà solo alcune decine di posti di lavoro agli aquilani. Interminabile è l’elenco degli idonei, per i quali però non c’è spazio nè lavoro. I numeri significano molto di più quando si sommano. Dalla somma, viene in evidenza un esercito di migliaia di persone residenti a L’Aquila e dintorni che non riescono a vivere, o gravano sui magri bilanci di famiglie defedate dalla crisi e dall’erosione della capacità di spesa. Nè si può sperare che, cominciando la ricostruzione, “tutti” possano lavorare nel settore edilizio, già pericolosamente nelle mani di concentratori di progetti e contratti, inclini a servirsi di personale meno oneroso perchè straniero, dunque messo alle corde dal bisogno.
E’ come se il motore dell’auto si fosse fermato. E l’auto silenziosa cominciasse a retrocedere in discesa, per gravità . Una simile situazione di collasso economico mina con effetto domino tutte le attività , a cominciare dal commercio e dall’artigianato. Drammatica la frase di un artigianto: “Lavoro poco ormai, e quando lavoro non mi paga nessuno, non posso emigrare, non so dove andare, ho troppi anni”.
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