Enrico Carli, il “capo” se n’è andato
L’Aquila – Era lui, davvero, il decano dei giornalisti, non solo aquilani: Enrico Carli aveva 96 anni. Se n’è andato dopo diversi anni di silenzio, e di dolore per la malasorte toccata alla sua città , alla sua casa, alla sua strada, il porticato dello storico negozio di ottica accanti alla altrettanto storica redazione de Il Tempo.
E’ morto all’ospedale di Giulianova, dove era ricoverato. Abitava a Roseto dopo aver lasciato L’Aquila e la sua casa distrutta. I funerali domani nella chiesa del cimitero, a L’Aquila, ore 11,30.
Una lunghissima vita dedicata al giornalismo (carta stampata e radio Rai) e alla sua professione, in una redazione in cui tutti lo chiamano “capo” e mai Enrico o dr.Carli, come si usava in altri tempi, dando magari dei “lei” a dirigente della redazione pullulante di giovani e ragazze. Allora nelle redazioni c’era tanta gente. Pochi soldi, questo sì, ma qualcosa c’era per tutti. Tanto lavoro, questo sì, magari anche fino alle 23 della notte di Natale, ma anche tante soddisfazioni. Fare il giornalista era, allora, una meta raggiunta, un’insegna di importanza. I giornali lo sapevano, e i capi delle redazioni pure: quindi porta aperta per le penne capaci. Il contratto? Lo stipendio? Cose secondarie…
Il “capo” Carli era un giornalista prudente e circospetto, ben radicato nella città che contava, non certo un assaltatore e un cronista di assalto. Ma capiva benissimo, oltre alle buone penne, anche che talvolta bisognava alzare le voce e assalire, magari lo lasciava fare ai suoi giovani leoni scavezzacollo, oppure prima di partire con un’inchiesta (allora se ne facevano, sui giornali) sentiva a Roma il suo capo, Gianni Letta. “Che ne pensi, Già ?”.
Dopo tanti anni, di lui è bello ricordare la risatina un po’ sbarazzina, lo sbruffetto che la precedeva, i dialoghi tranquilli con i suoi ragazzi, ai quali faceva capire molte cose. Maestro di giornalismo lo era, Enrico Carli, se non altro grazie ad una lunghissima esperienza ultradecennale. I suoi sono stati tempi di ottime firme, bravi cronisti, future celebrità (come Bruno Vespa), e le pagine del quotidiano non si montavano con lo stampino come oggi. Si costruivano ogni sera, e ogni sera occorreva un’apertura degna di questo nome. Spesso qualcuno partiva alle 22 con le foto da portare a Roma.
Oggi il commiato che la collega Patrizia Pennella, una delle migliori penne del vivaio di Enrico, ci aveva preannunciato per telefono. Un velo di tristezza, una profonda melanconia, per noi, per lei, per tanti altri. 96 anni sono un’infinità di tempo. Ma quando se ne vanno pezzi di vita, è inutile tentare di consolarsi. Addio, “capo”. L’edizione di domani del giornale della tua vita non ci sarà . Le pubblicazioni non riprenderanno.
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