Impressioni pugliesi di Gabriele d’Annunzio
Pescara – (di Stefano Leone – foto Massimo Leone) – LA TRASFIGURAZIONE INVESTE IN OGNI PARTICOLARE L’OGGETTO PROSSIMO, TRAMUTA IL REALE IN FIABESCO – L’esistenza di appunti scritti in diverse occasioni da d’Annunzio era già nota agli inizi del Novecento, in quanto il poeta stesso ne parlò più volte. Si tratta di veri e propri quadernetti che d’Annunzio usava portarsi nelle tasche ovunque andasse per poter annotare, in ogni momento, qualsiasi pensiero gli passasse per la mente. Questi appunti hanno diverse chiavi di lettura: a una fedele cronaca delle vicende della vita dell’uomo (registrazioni di viaggi, notizie private e familiari, impegni mondani, promemoria, spese quotidiane relative anche al ménage domestico) fa da contrappunto un diario dell’anima: emozioni, amori, entusiasmi, frenesie, coraggio, inquietudini, delusioni.
Dei luoghi, anche quando li descriveva con esattezza da topografo, amava, riferire come di spazi mitici, la puntigliosa trascrizione dei particolari non impediva la trasfigurazione di un luogo reale, al di sopra della cronaca o del rapporto di tipo puramente geografico, in un luogo mitizzato. Anche i Taccuini, nei paesaggi accennati, schizzati, disegnati o variamente colorati, testimoniano in larga misura tale mitizzazione. Una delle testimonianze più cristalline, l’umile cronista, passeggiando fra i trulli alberobellesi, la trova all’ingresso di quello che è diventato il Museo del Territorio. Trova collocazione in due trulli, nella piccola Piazza Mario Pagano, adiacente l’Aia Piccola, in pieno centro storico di Alberobello, (Arboris Belli in latino, Jarubèdde in dialetto alberobellese). Un omaggio al Vate pescarese, che gli abitanti della capitale dei trulli, hanno voluto rendere al ricordo di chi, illustre figlio della regione abruzzese, legata dai tratturi della transumanza alla regione Puglia. La gigantografia, serigrafata con un rosso sbiadito sopra l’innaturale bianco dello sfondo, capeggia al centro dell’ingresso dei due trulli Museo. In essa, l’immagine del poeta-aviatore con al fianco uno dei passi più celebri, tratti proprio dai Taccuini, nel quale Gabriele d’Annunzio descrive i luoghi della Valle d’Itria durante un viaggio. Leggiamo:
Cronache di un viaggio, 1917
Partiamo per Brindisi in automobile. Lunga strada abbagliante, per una campagna di sete. Grossi borghi imbiancati. Gli olivi. Tra Alberobello e Locorotondo i paesaggi strani sparsi di trulli. Una specie di attendamento lapideo. I padiglioni conici di pietra, col fiore in cima. I trulli bruni e bianchi. I gruppi di coni. Penso ad una abitazione fatta di sette trulli con l’interno dorato, con le pareti di lapislazzuli, con i pavimenti coperti di tappeti arabi. Ad Alberobello la festa di Cosimo e Damiano, la festa dei Santi Medici. Carri pieni di pellegrini, processioni, musiche… Paese remoto come sogno, e come un’antica età . La via bianca tra muri e secco. Gli ulivi consorti, sui grossi ceppi, simili a quelli della baia d’Itea, di Delfo, di Egina; ulivi ellenici. L’erba arsiccia nell’ombra, color di velluto fulvo. Le pecore nere, le pecore dei sacrifizi alle divinità di sotterra, che fuggono tra ombra e ombra. Qualche capro nero, dall’occhio giallo. Qualche stuolo di contadini seminudi, simili a certi gruppi di terracotta beotica, simili a certe figure dei vasi campani. Nella stanchezza mi addormento… Mi sveglio e vedo un paese di sogno, come se dormissi tuttavia. L’attendamento di pietra nel terreno ondulato. Gli innumerevoli coni bruni contrassegnati dall’emblema fenici. Lunghe nuvole rosee in cielo d’acquamarina…Le città bianche che s’innazzurrano nella sera. La luna pallidissima nel cielo limpido.
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